Ho il numero 310. Osservo lo scorrere dei numeri sul tabellone digitale, mi guardo intorno, ascolto frammenti di conversazioni in genere poco edificanti: tutti si lamentano per l'attesa, tutti si stufano ad aspettare il proprio turno, tutti hanno qualcosa per cui reclamare.
Accanto a me si siede un uomo, avrà una quarantina d'anni, forse qualcosa in più. Un uomo come tanti, modesto, tranquillo, pacato. Non sbuffa, non armeggia con i fogli, non guarda l'ora ogni secondo.
Tira fuori dalla tasca un telefono, modesto anche quello. Chiama il padre, vuole sapere come sta oggi, se ha ancora la febbre. Una telefonata ordinaria, come se ne possono fare tante. Eppure il suo tono mi colpisce. Il suo modo di rivolgersi a quel genitore che immagino anziano, a casa, magari solo.
C'è un affetto sereno, un'attenzione al parlare con calma, un tono confidenziale ma rispettoso. Aveva proprio voglia di sentire come stava suo papà, non è una telefonata di cortesia. Ascolta a lungo il papà, lo rassicura, sembra gli faccia una carezza con quella voce così buona, accogliente, garbata.
Il papà è in qualche modo preoccupato per un regalo che devono fare. Lui lo rassicura, si organizzerà con Tiziana e andranno nel weekend. Sabato o domenica, da valutare. Ma poi il regalo passa in secondo piano, il papà ha bisogno di un cappotto, per l'inverno. Il figlio, gentilmente, gli dice che lo andranno a prendere insieme, sabato o domenica, ne parlerà anche di questo con Tiziana. Andranno nel negozio in cui il papà si trova bene. Un'altra rassicurazione.
La telefonata si chiude.
Vorrei dirglielo. Vorrei dire a questo signore che il modo con cui si rivolge a suo papà è di una dolcezza che mi commuove. Vorrei dirgli che è bello sentire in una sala d'accettazione dove tutti sbuffano queste piccole conversazioni familiari. Non lo faccio. Non voglio entrare più di quanto ho fatto nella vita di una persona seduta semplicemente accanto a me.
Il signore mette via il telefono. Si volta verso di me e mi guarda. Lo guardo anche io e poi distolgo lo sguardo. Mi chiede se è tanto che aspetto. Gli dico di no, incredibilmente questa volta ho solo quaranta persone davanti. Lui mi racconta che qualche giorno prima ne aveva centoventi ed era sbalordito. "Magari è normale, ma sa signorina, io vengo dal paesello".
Siamo a San Donato penso. Non proprio una metropoli. Ma penso al suo paesello, sarà certamente in campagna, oltre il cosiddetto hinterland più urbano.
Scambiamo due chiacchiere, poi tocca a me. Mi alzo, sbrigo le pratiche allo sportello e gli ripasso davanti. Gli auguro una buona giornata, gli sorrido. Lui si sporge verso di me, mi stringe la mano, mi augura una buona giornata. E me la augura davvero, glielo si legge negli occhi e nella voce. Mentre salgo le scale per andare al terzo piano penso che la sala d'accettazione senza tempo contiene anche questo: una pennellata di cortesia e di bellezza.
Vale
Pubblico così come è arrivata questa bella parentesi di vita quotidiana, non voglio aggiungere altro, solo un grazie di cuore all'amica Valeria che l'ha voluta condividere.
Non è così difficile come potreste pensare, scrivete anche voi a storiesenzafretta@gmail.com
Nessun commento:
Posta un commento