venerdì 24 gennaio 2014

Stagioni, ortaggi e pazienza.

Mentre la settimana volge al termine ci scrive ancora Matteo.
Questa è una storia di persone, stagioni, ortaggi e pazienza.
La pazienza di chi ha un orto e ne cura le piante stando ai loro tempi, senza fretta.

In questi giorni di pioggia ed inverno si sta spesso chiusi in casa.
Questo pomeriggio lo definirei come un "pomeriggio di tradizioni". Di tradizioni perché in cucina mia mamma sta dando vita ad una sorta di produzione industriale di marmellata. Marmellata di cachi vanigliati di nostra produzione per essere precisi.
Vivo infatti in un paese piccolo e sparso nella campagna ed ho avuto la grandissima fortuna di crescere in mezzo ai campi. Quando ero piccolo, non vedevo l'ora dei giorni di vacanza dalla scuola anche per andare in bicicletta al "casotto" col mio nonno.
Devo ammettere che ogni tanto ci torno.
Il "casotto" è quella costruzione rurale tipicamente in mattoni che si trova in mezzo ai campi e dove i contadini tengono i loro attrezzi, allevano qualche gallina e coltivano i pomodori.
Così, grazie agli insegnamenti del nonno, ho imparato a non dare per scontata la natura, che ogni stagione ha le sue verdure e i suoi frutti e che esistono stagioni, come appunto l'Inverno, dove l'orto riposa e produce meno.
Tornando alla marmellata di cachi, dovete sapere che abbiamo una serie di piante che ogni anno, in cambio delle nostre attenzioni, ci regalano cassette e cassette di frutta e verdura.
Abbiamo infatti, oltre al caco, anche un fico, un nespolo, fragole, lamponi e tutta una serie di ortaggi.
L'orto ha sempre scandito, almeno in parte, la vita dei miei nonni. Ogni frutto o ortaggio, col suo periodo ben delimitato in cui crescere, deve subire delle lavorazioni prima di poter essere mangiato o conservato. Io ho trascorso e per fortuna trascorro tutt'ora, molto tempo coi nonni.
Ad ogni stagione non vedevo l'ora di "giocare alle verdure".
Sì, per me era un po' un gioco. Non posso contare i secchi di fagioli e di piselli che ho tolto dai baccelli. Il procedimento era sempre lo stesso, ne ho l'immagine ancora molto nitida. Io, il nonno e la nonna tutti seduti in cucina. Sul tavolo c'era una montagna di baccelli ancora chiusi da pulire. Ognuno aveva il suo piatto per la verdura pulita, il suo secchio per lo scarto e, immancabile, il suo foglio di giornale "altrimenti il tavolo si sporca!" diceva la nonna.
Interi pomeriggi a mondare, quelle verdure. Ma davvero interi pomeriggi! Iniziavamo dopo il sonnellino del nonno e via fino a cena.
"Bisogna schiacciare piano sulla linea che unisce le due metà del baccello, quando si apre devi controllare che piselli o fagioli siano belli. Quelli belli li metti qui nel piatto, quelli brutti o gialli li butti nel secchio". Ogni volta mi ripetevano tutto il procedimento, ovviamente in rigoroso dialetto brianzolo. Non ricordo neppure il numero di fagiolini (i cornetti) che ho spuntato. Qui il procedimento era diverso. Con un coltello dovevo togliere le due estremità e tenere la parte in mezzo che veniva poi lavata, asciugata, tagliata e congelata in sacchettini.
Chiaramente, viste le grosse quantità, anche fagioli e piselli venivano congelati allo stesso modo.



Non posso certo mancare di nominare gli asparagi, prodotto di punta del nostro orto.
"Gli asparagi non li hanno tutti, questa varietà poi non l'ha nessuno", mi diceva il nonno. I nostri erano quelli "Rosa di Mezzago" ma quelli veri però! Quelli originali che solo qualche contadino ancora possiede. Mio nonno ci teneva talmente tanto che la prima volta che ne ho raccolto uno l'ho fatto di nascosto. "E' facile romperli" diceva "perché non sai dove vanno sotto la terra. Possono andare diritti o storti, va un po' a fortuna".
Infatti il secondo che raccolsi si ruppe, il primo però no.
Pochi asparagi finivano congelati, solo quelli un po' brutti. Tutti gli altri venivano cucinati freschi, sempre allo stesso modo. Venivano fatti lessare nella pentola apposita. Una pentola alta e stretta dove queste verdure possono stare in piedi. Una volta lessati finivano distesi in fila su un piatto, poi ci si metteva sopra una grattata di parmigiano, un po' di burro fuso, uovo sbattuto e un po' di sale. Gli asparagi della nonna erano pronti!
Potrei scrivere di insalate, pomodori, cetrioli, delle file di patate che piantavamo ogni anno e che poi, dopo la raccolta, venivano distese sul portico della cascina.
Tutto ciò è mi tornato in mente perché oggi la mia mamma ha trasformato quattro cassette di cachi in decine di barattoli di marmellata.
In questo momento storico, dove c'è sempre meno tempo, dove tutti corrono, dove tutto è già pronto, vedere persone che ancora lavorano il cibo in questo modo mi fa nascere un sorriso. Pulire i cachi, lavare e far bollire tutti i barattoli, mescolare tutta quella marmellata che poi viene versata nei barattoli in vetro.
Il procedimento è lungo e faticoso, ancora di più se consideriamo anche la raccolta, e il tocco finale è chiudere i contenitori e scrivervi sull'etichetta: "Cachi 2013-14".
I barattoli finiscono tutti a farsi compagnia in dispensa.
Comprare la marmellata al supermercato è sicuramente più comodo. Una cosa però è certa: nella mia memoria ho un album di immagini ben chiare che il supermercato non ti può dare. Una per ogni verdura, tutte diverse, tutte importanti, tutte uniche e irripetibili. I fagioli, gli asparagi, i cachi, ecc. Tutte in compagnia di qualcuno.
Io sono sicuro che, tra quarant'anni, ogni volta che pulirò un asparago o taglierò un baccello penserò sempre ai miei nonni. Alle giornate con loro.
Grazie.

Un  grazie a Matteo per queste belle immagini e a tutti i lettori che apprezzano il blog.

Ci sentiamo presto, alla prossima storia!
Polo

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martedì 21 gennaio 2014

Guardando oltre, al di là del grigio!

Nell'immaginario comune, Milano è ricoperta da un cielo grigio e tappezzata di strade grigie battute da macchine la cui colorazione, ahinòi, tenderà sempre al grigio.

Io ho avuto la fortuna di lavorare, qualche anno fa, sulla linea del Brennero, importante arteria ferroviaria che da Verona sale su fino al confine con l'Austria passando per Trento e Bolzano.
I paesaggi sono tutt'altro che quelli milanesi, a partire dai colori, per non parlare dell'aria.
Nella tratta da Bolzano in su, la ferrovia si snoda sovrastata dalle montagne, le velocità sono relativamente ridotte proprio affinché il treno assecondi l'andamento dei fiumi che sta costeggiando.
C'è una galleria davvero lunga poco sopra Bolzano, la Sciliar, che con i suoi 13 chilometri di lunghezza ha fatto sì che una volta vi entrassi con la luce ed uscissi che si era fatto buio. Questa cosa, per quanto banale possa sembrare, mi è rimasta impressa!
Ti ritrovi dunque, viste le caratteristiche tecniche dei treni, a percorrere la valle nella sua parte più bassa, e da lì vedi paesaggi che dai viadotti autostradali si perdono. La casetta di montagna dal cui comignolo esce fumo è la più ricorrente, con la legna accatastata sotto una tettoia, a far capire che lì il riscaldamento è affar tuo.
Quando facevo quella linea, abbassavo spesso il finestrino così da unire ai bei paesaggi anche il loro profumo.
Ricordo una giornata di pieno inverno, senza neve, con un cielo terso e un bellissimo sole. In un preciso momento, poco prima di passare da Vipiteno, ho avuto la sensazione di essere all'interno di un plastico da modellismo.
Il paesaggio era talmente pulito e dai colori nitidi che sembrava finto, c'era anche la classica macchina della polizia ferma lungo la strada, che nei plastici migliori non manca mai e magari ha anche il lampeggiante che funziona.
Di certo la velocità non elevata aiuta a godersi paesaggi del genere, come quello che mi si è parato davanti una sera all'imbrunire partendo da Bolzano. Il sole ormai al tramonto illuminava solamente le montagne più alte donando loro un colorito rosa-arancione che, come potrete notare, le metteva ancor più in risalto.
Bolzano, direzione Austria
Tornando al grigiore milanese, devo dire che a guardare bene c'è qualcosa di più di ciò che è dipinto dall'immaginario comune.
Se sulla linea del Brennero mi sono sentito immerso in un plastico da modellismo, qualche sera prima di Natale fra le stazioni di Greco Pirelli e Sesto San Giovanni, mi è sembrato di vedere delle case che potresti ritrovare in un presepe... diciamo moderno.
Il mio passare veloce mi ha permesso di osservare, al loro interno, istanti di vita quotidiana: persone sedute a tavola, televisori accesi e bimbi che corrono per casa. Scene insomma che trasmettevano calore, proprio adatte ad un bel presepe moderno.
Erano infatti dei palazzoni alti ma parecchie luci erano accese. I pochi che avevano le tende le avevano messe da parte, così da mettere in mostra gli alberi di Natale addobbati e luminosi.
Per un momento sono stato contento di alzare gli occhi dal grigio che caratterizza Milano, contento di vedere qualcosa di più al di là di quel grigio, contento di vedere delle persone che di grigio, magari, avevano solo i capelli.

Un abbraccio a tutti i lettori e appuntamento alla prossima storia senza fretta!

A presto,
Polo

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giovedì 16 gennaio 2014

Vuole un bicchiere d'acqua?

Ecco un'altra storia senza fretta, oggi ce la scrive Valeria!
Fatta di gesti semplici come un bicchiere d'acqua, piccole attenzioni per il prossimo, per quelle persone che incrociamo nella vita di tutti i giorni senza curarcene troppo.
Beh, lei se ne cura, smette di fare la spettatrice e ci racconta com'è.
E chi legge sarà lì, a fare un po' di tifo per lei!


Il cielo è terso, è una di quelle giornate in cui amo Milano: l'aria frizzantina dell'inverno si sposa con un sole caldo e Milano è più bella, splende della sua eleganza, soprattutto in Corso Italia, di domenica pomeriggio.
Passanti, poche auto, negozi chiusi, il 15 che sembra procedere più lento del solito sui suoi binari - forse è domenica anche per lui.
Cammino velocemente, ho mal di testa e non vedo l'ora di essere a casa. Cerco di godermi comunque quest'aria e respirare la città, lascio scivolare i pensieri lontano, svuoto la mente, cammino e respiro.
Poi d'un tratto. Un rumore sordo. Mi giro. Voci di sottofondo. Commenti.
Dall'altro lato della strada vedo una signora per terra, la sua bici ribaltata. Una macchina parcheggiata, la portiera aperta. Un signore che gesticola.
La scena si è svolta un attimo dopo il mio passaggio. Mi sento in ritardo. Mi fermo.
Una coppia dietro di me fa altrettanto e sentenzia - il solito deficiente che apre la portiera senza guardare -.
Sono attimi di stasi. Non sto a guardare. Attraverso, un taxi si ferma per farmi passare.
La signora - avrà almeno una sessantina d'anni - si sta alzando, aiutata dal signore che a una prima ricostruzione deve averla urtata aprendo la portiera dopo aver parcheggiato.
La signora è bella, i capelli bianchi, gli occhi chiari, lo sguardo frastornato.
Mi avvicino.
- Chiamiamo un'ambulanza? -
Il signore mi guarda come un'intrusa, pare che ciò che è accaduto sia affar suo, gli sembro fuori luogo, il suo sguardo non lascia dubbi.
La signora mi guarda dolcemente.
- No, non serve.
Si guarda la mano, è violacea è un po' escoriata. C'è una bella botta.
- Signora come si sente?
- Mi fa male qui.
E indica il cuore.
Esito un attimo, mi gelo. Scatta nella mia mente un film (tragico ovviamente): ora le viene un infarto e muore. Chiamo l'ambulanza. Poi penso che forse è agitata e spaventata.
Le sfioro una mano (l'altra), la rassicuro.
- Signora, vuole un bicchiere d'acqua?
Mi guarda, ancora dolcemente.
- Si, grazie.
Punto al bar aperto, di fronte a noi. Il proprietario dell'auto - che nel frattempo sorregge la signora - mi dice: Ci vado io.
Rimarcando come la cosa sia affar suo.
Sorrido decisa.
- Sono qui, mi rendo utile.
Entro, forse non saluto nemmeno. Chiedo un bicchiere d'acqua e spiego velocemente cosa è accaduto. Il barista mi porge l'acqua e chiede se serve chiamare l'ambulanza. Gli dico che non lo so, che io l'avrei chiamata. Lui si affaccia alla soglia, non esce. Guarda e rientra.
La signora, con le mani tremanti, beve l'acqua. Mi restituisce il bicchiere.
- Grazie signorina (resterò "signorina" a vita, anche a quarant'anni probabilmente).
Il proprietario dell'auto intanto la invita a sedersi in macchina. Chiedo nuovamente se serve chiamare l'ambulanza.
Lui mi guarda storto, ho l'impressione che cerchi di estromettermi dalla conversazione, è come se gli dessi fastidio. Chiede alla signora dove sta andando, se vuole essere accompagnata in auto, la invita a sedersi per riprendersi un attimo.
Lei accetta.
Con lui ci sono una donna di colore e due ragazzine. Tutte e tre immobili. Intorno alla macchina.
Dall'altro lato della strada - quello in cui ero io - ci sono sparuti osservatori. Credono di essere al cinema o a teatro probabilmente.
La signora mi sembra star meglio.
Le sorrido.
- Se non ha bisogno, io vado.
- Sto bene. Grazie davvero, signorina (e due).
Mi ringrazia anche il proprietario dell'auto, frettolosamente.
Riprendo a camminare, ripenso a quanto accaduto. Penso ai passanti fermi. Non è la prima volta. Lo leggo spesso sui giornali. Gente che guarda, che non interviene, che preferisce veder scorrere la vita davanti a sé, che non si sente chiamata in causa, se non per lamentarsi, per commentare, per avere qualcosa da dire. Come se agire non fosse contemplato. Come se una cosa ti riguardasse solo se ti coinvolge fisicamente, in prima persona, solo se ti sbatte addosso.
Forse era questo che pensava il proprietario dell'auto. Che avrei dovuto farmi i fatti miei. Che io non c'entravo. Che erano affari suoi e della signora.
Però apparentemente ci interessa tutto. Ci riguarda tutto se dobbiamo parlare, dire, schierarci, criticare, contestare, polemizzare. Ci interessa tutto, soprattutto sui social. Siamo tuttologi. Esperti in ogni materia.
Mi sono allontanata ormai. Da un lato ripenso che sto per raggiungere Missori, che prenderò la metro e che sarò "presto" a casa. Dall'altro ripenso alla signora. Come andrà a finire. Forse avrei dovuto fermarmi un altro po'.
D'un tratto irrompe nella quiete domenicale: è l'ambulanza. Non può essere una coincidenza. Mi giro. Si ferma in prossimità del bar.
Torno indietro, penso.
A cosa serve? Ci sono i soccorsi. Mi dico.
Mi assale la sensazione di aver lasciato perdere, di essere andata via troppo presto, di non aver fatto abbastanza.
Ci sono i soccorsi, chi meglio di loro può pensarci adesso?
Riprendo a camminare verso la metro.
Affido al Signore la signora.
Dalle un occhio tu, gli suggerisco.
(Ho sempre un sacco di suggerimenti per Dio, fossi in lui mi assumerei).

Un abbraccio particolare a Valeria per i suoi suggerimenti e incoraggiamenti, anche se non sono Dio!

Un abbraccio virtuale a tutti voi lettori e appuntamento alla prossima storia senza fretta!

A presto,
Polo

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martedì 14 gennaio 2014

Ciao Gioia!

Ci scrive ancora Matteo, una storia di una giornata come un'altra. Un saluto particolare però può farci evadere dal cielo grigio, dalla pioggerellina e dall'orologio che ci rincorre anche se è un week-end, anche se è sabato mattina e siamo a Sulbiate.
E' una giornata col cielo coperto. E' sabato mattina e mi sono svegliato alle sette perché ho una riunione a Milano. A Milano!!! E io che volevo dormire. Vabbè. "Dai Matteo" penso "per una volta anche se dormi quattro ore non è la fine del mondo". Tutto in silenzio per non svegliare gli altri scendo, mi preparo ed esco. Prima di andare a Milano, dove due amici mi aspettano per una colazione pre-riunione, per affrontare il viaggio in solitaria ho bisogno almeno di un caffè. Visto che devo ritirare un giornale colgo l'occasione, al volo, e faccio tappa in edicola e al bar. Ritiro il numero di gennaio di Linus, contiene anche il calendario 2014 non di Belen o dei calciatori ma dei Peanuts!!! E già sono un ragazzo felice per questa giornata. Scoprire poi che su giugno, mese del mio compleanno, c'è Snoopy in versione scout mi rende ancora più felice. Ma questa è un'altra storia.
Fuori dall'edicola, subito dentro nel bar. Stranamente è vuoto. La barista, seduta al tavolino, legge informazioni e guarda le foto di un incidente di sci col salto. Quello sport, un po' estremo, dove sciatori senza racchette si lanciano da una pedana cercando di cadere il più lontano possibile, il più possibile in piedi. Penso che uno sport così non lo farei proprio mai ma è pur sempre un argomento così parliamo un po' e nel mentre le chiedo un cappuccio. Dico chiedo e non ordino, ci tengo a sottolinearlo.
Il cappuccio è ottimo, come sempre. Mezza tazzina di schiuma soffice soffice che quasi mi ci tuffo dentro ed un cioccolatino che accompagna il tutto.
Intanto il bar si è un po' riempito.
Mentre col cucchiaino pulisco per bene tutta la schiuma dalla tazzina, assolutamente non deve restarne nemmeno una goccia, ascolto e mi guardo in giro.
Entrano una signora sulla settantina che si siede al tavolino col giornale ed una mamma con la figlia.
La signora chiede un cappuccio, intenditrice direi! La mamma e la figlia invece chiedono rispettivamente un caffè macchiato e del latte con un po' di cacao da mescolare con, udite udite, un cucchiaino di cioccolato! Mi illumino. Ignoravo l'esistenza di tale cucchiaino! E' bellissimo! Se fossi un bimbo lo vorrei sempre! In realtà lo prenderei volentieri ancora. Ma la cosa che più mi stupisce è che la barista sapeva già tutto. Sapeva già cosa le avrebbero chiesto, il margine di errore era molto limitato. Non solo, chiede alla bimba qualcosa di scuola e alla signora chiede semplicemente come va. Sarà che in un paese piccolo ci si conosce tutti, sarà che lei fa il suo interesse ad essere cortese e gentile, sarà che come tutte le donne magari ama interessarsi degli altri, sarà quel che volete. A me invece piace pensare che è diverso essere cortesi con tutti e voler far due chiacchiere con tutti. Nessuno glielo fa fare, potrebbe limitarsi a meno, ad un ciao. Invece no. A me piace, crea un ambiente sereno e quasi famigliare nel suo bar, luogo di passaggio per definizione reso così accogliente con poco. Nel frattempo ho spazzolato per bene tutto il cappuccio. Prendo le mie riviste, pago e la saluto perché devo andare.
Quando esco mi saluta come sempre, come fa con molti.
"Ciao Gioia!"
Ciao Gioia. Non lo dicono più in molti, anzi, a parte qualche nonna ai nipotini non lo dice proprio più nessuno.
Gioia a me, gioia per uno stato mentale allegro e sereno. Bello essere gioiosi.
Gioia perché sei una bella persona, gioia perché ti conosce, gioia perché lei è una persona gioiosa e gentile. Chi lo sa. Io so solo che iniziare una giornata con un "Ciao Gioia!" è decisamente bello. Se poi sono le otto di un grigio sabato mattina, beh, lo è ancora di più. Scappo a Milano.
Ciao Gioia! E con un "Ciao Gioie!" vi saluto anch'io e vi dò appuntamento alla prossima Storia senza fretta!

Un abbraccio e a presto,
Polo

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