martedì 4 novembre 2014

Nove utili consigli per chi viaggia in aereo

Ciao a tutti e bentornati su Storie senza fretta!

Dopo una pausa di qualche mese, riprendo a scrivere, quest'anno dedicherò la mia attenzione a dei lavori particolari, di quelli che quando sei piccolo li vorresti fare e poi cresci, di quelli che a volte ti chiedi chi lo faccia o chi glielo faccia fare, di quelle che magari tu vai a letto e a loro suona la sveglia.

Voglio dedicare questo primo pezzo alla figura dell'assistente di volo, stewart o hostess che dir si voglia. Figura professionale spesso sobbarcata di lavoro, si ritrova ad avere a che fare con persone che non sempre comprendono il vero lavoro che sta dietro al raggiungimento di una qualifica del genere.
Ho dunque incontrato Dario, assistente di volo che mi ha raccontato un po' del suo lavoro e di alcuni aneddoti. Ecco alcuni consigli, trovati assieme a lui, se intendete viaggiare in aereo e non volete avere problemi con chi vi assisterà durante il volo.

  1. Prima di salire sull'aereo, potrebbe essere che in alto a destra della vostra carta di Imbarco vi sia scritto PORTA DAVANTI o PORTA DIETRO, è consigliabile salire da quella indicata.
    Questo è dettato dal vostro numero di fila assegnata: solitamente, sui voli di medio raggio, le file fino alla 17 salgono davanti, dalla 18 in su salgono dietro. Se quindi non dovesse esserci scritto e vi fosse la possibilità di usare entrambe le porte, tenetelo da conto. Vi eviterà di dover attraversare con il bagaglio a mano tutto il corridoio sovraffollato dell'aeromobile.
    C'è chi è riuscito a salire dalla porta dietro pur avendo la fila 1 oppure chi, invitato a salire dalla porta dietro, ha chiesto se anch'essa andasse alla stessa destinazione di quella davanti.
  2. Quando salite sull'aereo, troverete un'assistente ad accogliervi. Non guardatelo con sufficienza dicendo "So già dove sedermi" oppure "Sì sì sono io!" consegnando anche un documento di identità: tutto ciò allungherà i tempi di imbarco e accorcerà la simpatia nei vostri confronti. Contro ogni apparenza non è lì per leggervi il numero del vostro posto a sedere né per controllare che voi siate effettivamente voi, tranquilli che lo hanno già fatto altri ben prima di farvi mettere piede sull'aereo.
    Il compito dell'assistente di volo, oltre accogliervi, è quello di controllare che la vostra Carta d'Imbarco corrisponda effettivamente al volo su cui state salendo, se gliela mostrate con data e numero di volo già in primo piano renderete più agevole il defluire dell'imbarco.
    Se unite il tutto ad un bel sorriso accompagnato da Buongiorno o Buonasera non guasterà, ma questo lo sapevate già.
  3. I servizi igienici a bordo sono chiaramente minimali, se non avete una certa età potrebbe non interessarvi nemmeno sapere che si trovano solitamente uno in testa e uno o due in coda.
    Non si può usarli per fumare, a molti sembrerà scontato ma vi assicuro che c'è chi ha preso questo divieto sotto gamba.
    Dedico un punto intero a questo divieto poiché fumare in volo ad altitudini che si aggirano sui 40.000 piedi è veramente pericoloso. Vista la bassa pressione esterna (tralasciamo le bassissime temperature), l'aeromobile è un pallone gonfiato ad una pressione relativamente altissima che rende respirabile per l'uomo l'aria al suo interno. Questo grazie ad un sistema altamente sofisticato di pressurizzazione e aerazione.
    Una sigaretta dentro questo "pallone gonfiato" a quella quota è un serio rischio di incendio e in pochi minuti potrebbe far sì che l'aeromobile si riempia di di fumo e fiamme. Cercare di spengere un fuoco a quelle quote è una sfida che nessuno vorrebbe mai dover affrontare.
    All'atterraggio (Rynair lo scrive a chiare lettere all'interno della Toilet) è molto probabile che il comandante chiami la polizia a bordo per denunciare il fautore di tale atto.
    Per evitare rogne a voi e fastidiosi perditempo agli altri viaggiatori tenete duro per poche ore e andrà tutto bene.
  4. Se avete un posto assegnato in una fila in corrispondenza di un'uscita di emergenza (file Ryanair 16 o 17) viaggerete con le gambe più larghe, mettete però in conto che non potrete tenere borse, sacchetti o altri oggetti ai vostri piedi: andrà sistemato tutto nelle cappelliere sopra la vostra testa.
  5. Se invece nella cappelliera sopra il vostro posto (Ryanair 14 D/E/F) dovessero essere alloggiate delle bombole per l'ossigeno state tranquilli, non c'è nessun sub che sta viaggiando con un bagaglio troppo ingombrante, sono fissate lì per particolari casi di emergenza cosicché gli assistenti di volo, addestrati più di quanto si possa pensare, le possano usare tempestivamente.
    Evitando inutili lamentele con l'assistente di volo, cercate un altro posto per il vostro bagaglio prima che siano tutti occupati.
  6. Quando vi siete sistemati nel vostro posto allacciate la cintura, e fin qui non vi ho detto nulla di nuovo. Quello che vi consiglio è di tenetela in vista. Uno dei compiti degli assistenti di volo è quello di controllare che tutti abbiano la cintura allacciata, se la vedranno non dovranno disturbarvi e passeranno dritto.
  7. Il tavolino davanti a voi, durante il decollo e l'atterraggio va tenuto chiuso e questo vi verrà ripetuto svariate volte. In ultimo, ed è scusato solo chi dorme, qualora l'Inglese non fosse il vostro forte, vi verrà fatto notare dall'assistente di volo che, in casi di recidività, provvederà di persona a chiudervelo. Il tutto con un sorriso inversamente proporzionale alla simpatia nei vostri confronti (per dirla in soldoni, più sorride, più gli state sul...)
  8. Proprio perché durante il volo passano con il carrello bar, gli assistenti sanno che avrete dei rifiuti che al momento non saprete dove infilare.
    Le tasche del vicino che dorme, la cappelliera o il portariviste di fronte a voi non è il posto più adatto dove "nasconderli". Fermare un assistente intento a fare altro o addirittura chiamarlo col pulsante di chiamata, solo per dargli la spazzatura, sono tutte azioni che sconsiglio di intraprendere.
    Se pazienterete qualche minuto vi assicuro che passeranno apposta chiedendovi se avete nulla da gettare via. Sconsigliato, in questo frangente, porgere il giornalino della compagnia aerea che vi è stato dato appena saliti a bordo.
  9. Per finire, se avete le orecchie particolarmente sensibili, vi consiglio di portarvi una bella gomma da masticare, rimedio scontato che funziona sempre.
    Se nella fase di salita potreste non averne bisogno, più probabile sarà sentirne la necessità durante la fase di discesa in cui la pressione torna a salire e sentirete tapparsi le orecchie, un po' come quando un sub si immerge.
    Può essere che un singolo confetto non basti a fare effetto, le orecchie si stappano facendo lavorare la mandibola e deglutendo quindi più grande sarà la gomma, maggiore sarà la sua efficacia.
Commentate, condividete e fate buon uso di questi consigli.
Io vi dò appuntamento per le prossime settimane alla scoperta di altre professioni particolari!

A presto,
Polo

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giovedì 8 maggio 2014

La biro che vale un campo scout

Quanto dura una penna biro? Spesso mi sono fatto questa domanda e spesso, prima di avere risposta, ho perso la penna, senza dunque avere risposta.
Poi a volte mi capita di usare qualche penna che dura un'infinità e mi chiedo da quanto la sto usando, ma anche lì trovo difficilmente risposta.
Un anno fa ero ad un campo scout, Campo di Formazione Metodologica, CFM per chi ne mastica.
Durante questi campi capita spesso di dover prendere appunti, dunque oltre a coltellino e accendino è bene avere in tasca una penna.

A conferma di quanto scritto sopra, nonostante le migliori intenzioni, dopo qualche giorno avevo già perso e ritrovato la mia biro un paio di volte.
Arrivato a metà della settimana, vi confesso che l'avevo definitivamente persa.
Proprio uno di quei giorni, camminando sullo sterrato vicino al tendone principale, mi casca l'occhio su una penna per terra, il corpo in plastica spezzato a metà ma la cartuccia ancora intera.
Caduta a chissà chi dei miei compagni di campo, decido di adottarla visto che bene o male si riesce ancora ad impugnare, ma soprattutto scrive!!!
Arrivato a casa qualche giorno dopo, mi svuoto le tasche ed eccola ancora lì!
La guardo e quasi mi stupisco di come sia arrivata fino a casa.
La parte spezzata è un po' scomoda mentre si scrive, così decido di avvolgerla con del brutale scotch di carta. La osservo bene e, viste le dimensioni ridotte, decido di portarla con me al lavoro. Mi capita spesso di dover appuntare delle cose quindi è comodo averla a portata di mano nella tasca dei pantaloni.

Quando partecipi ad un campo scout, tornare alla vita di tutti i giorni non è immediato come schioccare le dita. Chi è scout come me sa bene cosa vuol dire dover riprendere i ritmi della vita di tutti i giorni e lasciare indietro quelli semplici e senza fretta di un campo scout.
Decido quindi che questa penna, semplice, un po' arrangiata, trovata per terra, mi farà portare con me un pezzo di quel campo scout, tutti i giorni. Un po' come quei ricordini che gli scout attaccano al fazzolettone, ma io me lo porto dietro tutti i giorni.

Vi chiederete perché lo sto raccontando solo ora, beh, è proprio questo il punto!
Il Primo Maggio questa penna, arrangiata con lo scotch, trovata mezza rotta per terra, ha compiuto ben un anno, contro ogni più rosea aspettativa!!!
Ho voluto dunque raccontare questa storia e dedicarla soprattutto a chi quel campo l'ha vissuto con me e di sicuro, come me, a un certo punto ha perso la penna.




A presto con un'altra storia senza fretta,
Polo

Continuate a seguirmi!

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mercoledì 7 maggio 2014

Il bambino del Filobus

La storia di oggi vede Matteo che approfitta di un semaforo per soffermarsi su un dettaglio della Milano By Night, una bella immagine di qualcosa che tutti abbiamo fatto, almeno una volta nella vita!!!

Milano, 2 maggio 2014.
Precisamente mi trovo in viale Molise e sto andando verso viale Puglie, forse è una delle circonvallazioni? Poco importa.
Sono in auto, sono in ritardo e un amico mi aspetta per una cena al Giappo! Perchè se non ho il mio solito quarto d'ora di "CorseSfrenatePerArrivareInTempoPurEssendoGiàInRitardo" non sono contento, no.
Ho anche caldo e in radio passano le solite canzoni, belle ma le solite.

La strada ha due corsie per lato, io sono su quella verso il centro perchè il mio obiettivo è superare il filobus presente sulla corsia più esterna. I filobus, si sa, danno fastidio all'automobilista perchè ogni 300 metri si fermano e magari il semaforo è pure verde.
Ad un certo punto mi trovo fermo al semaforo rosso e a fianco a me è fermo il filobus. Essendo sera le luci del mezzo pubblico sono accese e tutto ciò che succede si vede perfettamente.
E io non posso resistere, giammai! Giro la testa e, in attesa del clackson di quello dietro, osservo cosa fanno i passeggeri.

Il filobus è un mezzo della circolare destra della linea 90.

(In radio tra l'altro stanno passando una canzone che mi piace, non ricordo quale ma ricordo che mi piace e che è azzeccata con ciò che scriverò sotto)

Un bimbo, credo sugli 8-9 anni sta facendo una cosa divertentissima che mi riporta indietro. E' appiccato al vetro e ci alita sopra. Il suo obiettivo è appannare il vetro anche se non ci sono proprio le condizioni climatiche migliori perchè ciò avvenga. Non riuscendo a creare la condensa sul vetro con una sola alitata si impegna. Alita, alita, alita....si appoggia con tutta la bocca al vetro e alita. Oh Che Schifo!!! Il mio pensiero va al finestrino che resterà inevitabilmente sbavato e alla quantità di sporco che è solitamente presente sui finestrini dei mezzi pubblici, dove il mondo sale e scende.
Ma non importa.
I suoi genitori sui sedili in fronte a lui parlano e ridono per i fatti loro.
Il bimbo ha una missione, uno scopo da raggiungere. Deve appannare il vetro per almeno 1 minuto e riscire a scrivere.
Eccolo, che fatica, quanto si impegna.

Tra l'altro ha pure la faccia simpatica e gli occhiali che, per attaccarsi al vetro, non sono il massimo. Devo ammettelro è proprio simpatico.

Ora che ha appannato un angolino del vetro scrive "CIAO" col dito indice.

Ciao. Quante volte l'ho scritto su un finestrino, quanti camionisti sono salutati dai ragazzi in gita mentre viaggiano sui loro pullman?
Io, coi miei amici, quando andavo alle superiori (e ogni tanto anche negli anni di università...e ogni tanto ancora oggi) sui finestrini scrivevo Lui "cuore" Lei coi nomi di alcuni di noi, ci prendavamo sul ridere così.

Il ragazzino ha scritto semplicemente "ciao". Un ciao destinato a durare pochi istanti. Destinato a non essere visto da nessuno o quasi.
Io l'ho visto ed ho sorriso.
Chissà perchè poi ci vien da scrivere su un finestrino. A chi vogliamo dire ciao? a chi vogliamo parlare? Ad altri, a sconosciuti, a noi stessi, vogliamo semplicemente riuscire a giocare con l'alito, il dito e il finestrino....chi lo sa.

Poi è scattato il verde. E' partito il filobus, sono partito io (prima che mi suonassero le auto in coda). Io sono andato per la mia strada, il filobus per la sua.
Ci siamo in qualche modo salutati.

Ciao.




Un grazie a Matteo per il suo prezioso contributo e a presto, con la prossima storia senza fretta!
Polo

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venerdì 11 aprile 2014

Tram e bici, due mezzi senza fretta

Nutro un profondo senso di ammirazione per tutte quelle persone che si spostano in bici per le vie di Milano.
Sono reduce da un turno di notte, non sono ancora le otto ma Milano è già discretamente presa d'assalto. "Sette e mezza arriva la prima ondata" e se lo di ce il tassista non ci piove.
Mi sta riportando verso la mia macchina, lasciata vicino alla stazione Centrale ad un'ora che non so se definire tarda notte o mattino molto presto, ma propendo per la prima accezione.
Il traffico è a singhiozzo e capita che al semaforo ti raggiungano biciclette o a volte anche pedoni che hai superato pochi metri prima. Il tempo di guardarli svicolarsi nel traffico e nuovamente si avanzava sfruttando quel momento di semaforo verde che non dura mai abbastanza per i tuoi gusti.
Capita di vedere diverse biciclette e penso che se facessi un lavoro con degli orari canonici mi muoverei anch'io in bici. Ma il mio non è solo un discorso di esercizio fisico, ora mi spiego.
Vi è mai capitato di muovervi per Milano e non avere particolare fretta?
Per qualcuno sarà come chiedere se è mai stato in spiaggia a Ferragosto senza mettersi in costume, me ne rendo conto, ma provate a fare mente locale.
Io qualche mese fa ero in Porta Romana e dovevo andare in stazione Centrale, avevo un'oretta di tempo e così presi il 9, sì, il tram.
Il tram, come poi la bicicletta, fa parte di quei mezzi che io definisco senza fretta e ad ogni modo preferibili alla buia metropolitana. Sia chiaro, non sto criticando l'indubbia efficienza del metrò di cui faccio tranquillamente uso, semplicemente, quando posso, uso altri mezzi.
Il Tram 9, per chi non fosse pratico di Milano, va da Porta Genova (Sud Ovest) alla Stazione centrale (Nord-Est). Fa una sorta di mezzaluna che va a toccare una marea di zone di Milano: Porta Ticinese, Porta Romana, Piazza Cinque Giornate solo per citarne alcune.
Chi come me vive nella frenesia Milanese, sorride a tutte le battute sul Milanese Imbruttito notando quanto siano vere. Concedersi dunque il Tram è una cosa che consiglio vivamente ogni tanto, sarà come prendersi una pausa.
Una pausa traballante, dall'orario incerto e che procede un po' a strattoni ma avrà sempre quel fascino che altri mezzi non hanno.

Capolinea del 9 - Stazione Centrale
Percorso Linea Tram 9 - Milano

Un saluto a chi continua a seguirmi, mi è mancato scrivere su queste pagine ed è un vero piacere tornare ad intrattenervi.

Un abbraccio a tutti!
Polo

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mercoledì 12 febbraio 2014

Cento volte auguri Mario!!!

Eccomi di nuovo qua!
Chiedo scusa per la pausa nella pubblicazione delle storie, ma ho voluto aspettare oggi 12 Febbraio non a caso.
Voglio infatti fare tanti auguri allo zio Mario, in realtà mio prozio, che oggi fa Cent'anni!!!
Sì sì, avete letto bene!
Faccio tanti auguri a te, zio, che guardi la tv con le cuffie a tutto volume e una mattina svegliasti tutta la casa perché alzavi il volume ma non ti eri accorto che le cuffie erano staccate. Mi immagino la scena!!!
Tanti auguri a te che fai su le tue sigarettine, tieni acceso il caminetto e guai se qualcuno non ti fa sistemare la legna come dici tu.
Tanti auguri a te, che di passeggiate ne hai fatte tante e tante ne continui a fare.
Tanti auguri a te che hai fatto non una, ma due guerre.
Tanti auguri a te, che anche senza parlare troppo, hai sempre un sacco di cose da insegnare.

Questo è un racconto di quel che era la tua Piastroso quando eri ragazzo, le persone che ti circondano l'hanno messo insieme e l'hanno mandato a me qualche settimana fa.
Lo dedichiamo a te, che più di chiunque altro ne fai parte.

Tanti auguri Mario!
Foto di Elena Togneri

PIASTROSO ALLA FINE DEGLI ANNI 40

Attraversato il ponte sul “Solco rovinoso”, dopo un breve tratto di strada in leggera salita, un’ampia curva a destra portava sul tratto di strada detto “il tiro”. Qui aveva inizio la località detta “Piastroso”. Sulla destra della strada, alla fine della curva vi era una croce con l’icona ottagonale in coccio smaltato raffigurante la Madonna con il Bambino in braccio; poco più avanti, sempre sulla destra della via c’era la casa detta “Al solco” dove abitava la Geny con i figli Nada e Dino. A destra della casa un piccolo fabbricato dove c’era il forno a legna. A sinistra della strada c’erano i campi del “Lindo” con una piccola capanna par il ricovero del bestiame e lo stoccaggio del fieno, tutto recintato da una staccionata in legno. Più avanti si trovava il “Pian delle Gianne” con una piccola capanna adibita a ricovero delle galline, venivano poi i campi e la casa detta “Alle Gianne” dove abitavano la vecchia Maria, Il Giocondo Santi con la moglie Emma Gonnella e i figli: Giuseppe, Assunta, Roberto ed Edo. L’Elfi e l’Eda si erano sposate ed erano andate con i rispettivi mariti, l’Elfi a Caletta con il Corrado (Lello) dei Solchetti e l’Eda in Abetaio con il Fortunato Santi (Fortuno di Betaio). Nell’aia, davanti alla, casa c’erano il pozzo per lavare i panni e il forno a legna.
Sul lato destro della strada, dopo la casa del “Solco” vi era un piccolo campo adibito ad orto, più avanti la “Piaggia delle Gianne” con un “Metato” per la seccatura delle castagne e un fabbricato detto “La capanna grande” per il ricovero delle pecore.
Veniva poi la casa detta “All’appalto” perché vi si effettuava la vendita di sali e tabacchi. Qui abitava Agostino Gonnella con la moglie Alessandra Donati e i figli Mario, Miranda e Silvano. Il Guido si era sposato con Giovannetti Amelia e abitava a Coreglia, l’Assunta si era sposata con Giovannetti Renato e abitava in “Pianceci”, la Meri si era sposata con Emanuele Baldini e abitava a Viareggio. In una stanza della casa veniva effettuato l’insegnamento della scuola elementare. A destra della casa vi era un metato, un pozzo per lavare i panni e il forno a legna.
Qui finiva il tratto di strada detto “Il tiro” perché vi si effettuava il gioco del “Tiro della forma”. Andando avanti, a destra e a sinistra della via, c’erano i campi della Rosa. Passato il ponticello sul fosso di Piastroso, a sinistra si trovava la casa detta “Alla Rosa”, accanto alla strada c’era il forno a legna e sotto la casa, il metato con un’ampia loggia. Lì abitavano Italo Togneri con la moglie Rosa Donati e i figli Leda Teresa, Fernanda, Giovanni e Maria Tina. Sulla destra, sopra strada, c’erano i campi e la casa del Pietro, sopra la casa, a circa una ventina di metri di distanza, c’era la capanna per il ricovero delle pecore, il forno era all’interno della casa. Lì abitavano il Pietro Togneri con la moglie Ester Donati e la figlia Elmina, Remo si era trasferito a Lucca per motivi di lavoro. Elmina aveva due figli: Pietro e Enzo, il marito Pompeo Togneri non aveva fatto ritorno dal fronte di guerra russo.
Sopra la casa del Pietro, a circa centocinquanta metri di distanza, c’era la casa detta “La Casetta” con il forno a legna e la capanna per le pecore. Lì abitava Cesare Florindo Donati (Lindo) con la moglie Iole Gonnella e i figli Adelina e Mansueto.
Tornando sulla strada principale, a sinistra c’erano i campi della Rosa con la “Capanna delle vacche” poi un terreno detto “I piani”, parte di proprietà della Rosa e parte del Lindo. A sinistra della strada un terreno detto “Il fondaccio” di proprietà del Lindo, a seguire un piccolo appezzamento di proprietà di Giuseppe Santi di Toia, (Peppe di Toia) quindi la “Piaggia” del Lindo poi quella della Rosa. Di fronte al terreno di Giuseppe Santi vi era in costruzione la chiesa di S. Antonio da Padova che sarebbe stata inaugurata il 13 giugno 1950.
Siamo giunti ai “Solchetti”, ultima casa di Piastroso con la capanna per le pecore, il metato e il forno a legna. Qui abitava Silvio Santi con la moglie Eletta Gonnella (Maria dei Solchetti) con i figli Emma, Carlo, Ilva e Natalina. Corrado (Lello) si era sposato con l’Elfi e si era trasferito a Caletta a lavorare per la famiglia dell’avvocato Gelati.
I pozzi per lavare i panni erano alimentati con l’acqua dei fossi. L’energia elettrica per uso illuminazione, era fornita da una centralina situata nei pressi del torrente Ania, sotto la casa della Rosa, costruita e curata dagli abitanti di Piastroso. Solo alcune case avevano all’interno l’acqua potabile, gli altri si rifornivano alle fonti, trasportando l’acqua con i secchi. La legna veniva usata per la cottura del pane, degli altri cibi e per il riscaldamento che consisteva in un caminetto posto nella cucina della casa.

Forse queste parole diranno poco a chi non conosce le persone citate, ma trovo che racchiudano una bella descrizione di come si viveva al tempo, di come lo zio Mario ha cominciato il suo cammino verso i Cent'anni.

Un ringraziamento particolare a mia cugina Elena Togneri e a Patrizia Santi per questo racconto, vi mando un forte abbraccio e conto che voi abbracciate il Mario anche per me!

Ci vediamo presto sempre qui, con un'altra storia senza fretta!
Polo

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venerdì 24 gennaio 2014

Stagioni, ortaggi e pazienza.

Mentre la settimana volge al termine ci scrive ancora Matteo.
Questa è una storia di persone, stagioni, ortaggi e pazienza.
La pazienza di chi ha un orto e ne cura le piante stando ai loro tempi, senza fretta.

In questi giorni di pioggia ed inverno si sta spesso chiusi in casa.
Questo pomeriggio lo definirei come un "pomeriggio di tradizioni". Di tradizioni perché in cucina mia mamma sta dando vita ad una sorta di produzione industriale di marmellata. Marmellata di cachi vanigliati di nostra produzione per essere precisi.
Vivo infatti in un paese piccolo e sparso nella campagna ed ho avuto la grandissima fortuna di crescere in mezzo ai campi. Quando ero piccolo, non vedevo l'ora dei giorni di vacanza dalla scuola anche per andare in bicicletta al "casotto" col mio nonno.
Devo ammettere che ogni tanto ci torno.
Il "casotto" è quella costruzione rurale tipicamente in mattoni che si trova in mezzo ai campi e dove i contadini tengono i loro attrezzi, allevano qualche gallina e coltivano i pomodori.
Così, grazie agli insegnamenti del nonno, ho imparato a non dare per scontata la natura, che ogni stagione ha le sue verdure e i suoi frutti e che esistono stagioni, come appunto l'Inverno, dove l'orto riposa e produce meno.
Tornando alla marmellata di cachi, dovete sapere che abbiamo una serie di piante che ogni anno, in cambio delle nostre attenzioni, ci regalano cassette e cassette di frutta e verdura.
Abbiamo infatti, oltre al caco, anche un fico, un nespolo, fragole, lamponi e tutta una serie di ortaggi.
L'orto ha sempre scandito, almeno in parte, la vita dei miei nonni. Ogni frutto o ortaggio, col suo periodo ben delimitato in cui crescere, deve subire delle lavorazioni prima di poter essere mangiato o conservato. Io ho trascorso e per fortuna trascorro tutt'ora, molto tempo coi nonni.
Ad ogni stagione non vedevo l'ora di "giocare alle verdure".
Sì, per me era un po' un gioco. Non posso contare i secchi di fagioli e di piselli che ho tolto dai baccelli. Il procedimento era sempre lo stesso, ne ho l'immagine ancora molto nitida. Io, il nonno e la nonna tutti seduti in cucina. Sul tavolo c'era una montagna di baccelli ancora chiusi da pulire. Ognuno aveva il suo piatto per la verdura pulita, il suo secchio per lo scarto e, immancabile, il suo foglio di giornale "altrimenti il tavolo si sporca!" diceva la nonna.
Interi pomeriggi a mondare, quelle verdure. Ma davvero interi pomeriggi! Iniziavamo dopo il sonnellino del nonno e via fino a cena.
"Bisogna schiacciare piano sulla linea che unisce le due metà del baccello, quando si apre devi controllare che piselli o fagioli siano belli. Quelli belli li metti qui nel piatto, quelli brutti o gialli li butti nel secchio". Ogni volta mi ripetevano tutto il procedimento, ovviamente in rigoroso dialetto brianzolo. Non ricordo neppure il numero di fagiolini (i cornetti) che ho spuntato. Qui il procedimento era diverso. Con un coltello dovevo togliere le due estremità e tenere la parte in mezzo che veniva poi lavata, asciugata, tagliata e congelata in sacchettini.
Chiaramente, viste le grosse quantità, anche fagioli e piselli venivano congelati allo stesso modo.



Non posso certo mancare di nominare gli asparagi, prodotto di punta del nostro orto.
"Gli asparagi non li hanno tutti, questa varietà poi non l'ha nessuno", mi diceva il nonno. I nostri erano quelli "Rosa di Mezzago" ma quelli veri però! Quelli originali che solo qualche contadino ancora possiede. Mio nonno ci teneva talmente tanto che la prima volta che ne ho raccolto uno l'ho fatto di nascosto. "E' facile romperli" diceva "perché non sai dove vanno sotto la terra. Possono andare diritti o storti, va un po' a fortuna".
Infatti il secondo che raccolsi si ruppe, il primo però no.
Pochi asparagi finivano congelati, solo quelli un po' brutti. Tutti gli altri venivano cucinati freschi, sempre allo stesso modo. Venivano fatti lessare nella pentola apposita. Una pentola alta e stretta dove queste verdure possono stare in piedi. Una volta lessati finivano distesi in fila su un piatto, poi ci si metteva sopra una grattata di parmigiano, un po' di burro fuso, uovo sbattuto e un po' di sale. Gli asparagi della nonna erano pronti!
Potrei scrivere di insalate, pomodori, cetrioli, delle file di patate che piantavamo ogni anno e che poi, dopo la raccolta, venivano distese sul portico della cascina.
Tutto ciò è mi tornato in mente perché oggi la mia mamma ha trasformato quattro cassette di cachi in decine di barattoli di marmellata.
In questo momento storico, dove c'è sempre meno tempo, dove tutti corrono, dove tutto è già pronto, vedere persone che ancora lavorano il cibo in questo modo mi fa nascere un sorriso. Pulire i cachi, lavare e far bollire tutti i barattoli, mescolare tutta quella marmellata che poi viene versata nei barattoli in vetro.
Il procedimento è lungo e faticoso, ancora di più se consideriamo anche la raccolta, e il tocco finale è chiudere i contenitori e scrivervi sull'etichetta: "Cachi 2013-14".
I barattoli finiscono tutti a farsi compagnia in dispensa.
Comprare la marmellata al supermercato è sicuramente più comodo. Una cosa però è certa: nella mia memoria ho un album di immagini ben chiare che il supermercato non ti può dare. Una per ogni verdura, tutte diverse, tutte importanti, tutte uniche e irripetibili. I fagioli, gli asparagi, i cachi, ecc. Tutte in compagnia di qualcuno.
Io sono sicuro che, tra quarant'anni, ogni volta che pulirò un asparago o taglierò un baccello penserò sempre ai miei nonni. Alle giornate con loro.
Grazie.

Un  grazie a Matteo per queste belle immagini e a tutti i lettori che apprezzano il blog.

Ci sentiamo presto, alla prossima storia!
Polo

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martedì 21 gennaio 2014

Guardando oltre, al di là del grigio!

Nell'immaginario comune, Milano è ricoperta da un cielo grigio e tappezzata di strade grigie battute da macchine la cui colorazione, ahinòi, tenderà sempre al grigio.

Io ho avuto la fortuna di lavorare, qualche anno fa, sulla linea del Brennero, importante arteria ferroviaria che da Verona sale su fino al confine con l'Austria passando per Trento e Bolzano.
I paesaggi sono tutt'altro che quelli milanesi, a partire dai colori, per non parlare dell'aria.
Nella tratta da Bolzano in su, la ferrovia si snoda sovrastata dalle montagne, le velocità sono relativamente ridotte proprio affinché il treno assecondi l'andamento dei fiumi che sta costeggiando.
C'è una galleria davvero lunga poco sopra Bolzano, la Sciliar, che con i suoi 13 chilometri di lunghezza ha fatto sì che una volta vi entrassi con la luce ed uscissi che si era fatto buio. Questa cosa, per quanto banale possa sembrare, mi è rimasta impressa!
Ti ritrovi dunque, viste le caratteristiche tecniche dei treni, a percorrere la valle nella sua parte più bassa, e da lì vedi paesaggi che dai viadotti autostradali si perdono. La casetta di montagna dal cui comignolo esce fumo è la più ricorrente, con la legna accatastata sotto una tettoia, a far capire che lì il riscaldamento è affar tuo.
Quando facevo quella linea, abbassavo spesso il finestrino così da unire ai bei paesaggi anche il loro profumo.
Ricordo una giornata di pieno inverno, senza neve, con un cielo terso e un bellissimo sole. In un preciso momento, poco prima di passare da Vipiteno, ho avuto la sensazione di essere all'interno di un plastico da modellismo.
Il paesaggio era talmente pulito e dai colori nitidi che sembrava finto, c'era anche la classica macchina della polizia ferma lungo la strada, che nei plastici migliori non manca mai e magari ha anche il lampeggiante che funziona.
Di certo la velocità non elevata aiuta a godersi paesaggi del genere, come quello che mi si è parato davanti una sera all'imbrunire partendo da Bolzano. Il sole ormai al tramonto illuminava solamente le montagne più alte donando loro un colorito rosa-arancione che, come potrete notare, le metteva ancor più in risalto.
Bolzano, direzione Austria
Tornando al grigiore milanese, devo dire che a guardare bene c'è qualcosa di più di ciò che è dipinto dall'immaginario comune.
Se sulla linea del Brennero mi sono sentito immerso in un plastico da modellismo, qualche sera prima di Natale fra le stazioni di Greco Pirelli e Sesto San Giovanni, mi è sembrato di vedere delle case che potresti ritrovare in un presepe... diciamo moderno.
Il mio passare veloce mi ha permesso di osservare, al loro interno, istanti di vita quotidiana: persone sedute a tavola, televisori accesi e bimbi che corrono per casa. Scene insomma che trasmettevano calore, proprio adatte ad un bel presepe moderno.
Erano infatti dei palazzoni alti ma parecchie luci erano accese. I pochi che avevano le tende le avevano messe da parte, così da mettere in mostra gli alberi di Natale addobbati e luminosi.
Per un momento sono stato contento di alzare gli occhi dal grigio che caratterizza Milano, contento di vedere qualcosa di più al di là di quel grigio, contento di vedere delle persone che di grigio, magari, avevano solo i capelli.

Un abbraccio a tutti i lettori e appuntamento alla prossima storia senza fretta!

A presto,
Polo

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giovedì 16 gennaio 2014

Vuole un bicchiere d'acqua?

Ecco un'altra storia senza fretta, oggi ce la scrive Valeria!
Fatta di gesti semplici come un bicchiere d'acqua, piccole attenzioni per il prossimo, per quelle persone che incrociamo nella vita di tutti i giorni senza curarcene troppo.
Beh, lei se ne cura, smette di fare la spettatrice e ci racconta com'è.
E chi legge sarà lì, a fare un po' di tifo per lei!


Il cielo è terso, è una di quelle giornate in cui amo Milano: l'aria frizzantina dell'inverno si sposa con un sole caldo e Milano è più bella, splende della sua eleganza, soprattutto in Corso Italia, di domenica pomeriggio.
Passanti, poche auto, negozi chiusi, il 15 che sembra procedere più lento del solito sui suoi binari - forse è domenica anche per lui.
Cammino velocemente, ho mal di testa e non vedo l'ora di essere a casa. Cerco di godermi comunque quest'aria e respirare la città, lascio scivolare i pensieri lontano, svuoto la mente, cammino e respiro.
Poi d'un tratto. Un rumore sordo. Mi giro. Voci di sottofondo. Commenti.
Dall'altro lato della strada vedo una signora per terra, la sua bici ribaltata. Una macchina parcheggiata, la portiera aperta. Un signore che gesticola.
La scena si è svolta un attimo dopo il mio passaggio. Mi sento in ritardo. Mi fermo.
Una coppia dietro di me fa altrettanto e sentenzia - il solito deficiente che apre la portiera senza guardare -.
Sono attimi di stasi. Non sto a guardare. Attraverso, un taxi si ferma per farmi passare.
La signora - avrà almeno una sessantina d'anni - si sta alzando, aiutata dal signore che a una prima ricostruzione deve averla urtata aprendo la portiera dopo aver parcheggiato.
La signora è bella, i capelli bianchi, gli occhi chiari, lo sguardo frastornato.
Mi avvicino.
- Chiamiamo un'ambulanza? -
Il signore mi guarda come un'intrusa, pare che ciò che è accaduto sia affar suo, gli sembro fuori luogo, il suo sguardo non lascia dubbi.
La signora mi guarda dolcemente.
- No, non serve.
Si guarda la mano, è violacea è un po' escoriata. C'è una bella botta.
- Signora come si sente?
- Mi fa male qui.
E indica il cuore.
Esito un attimo, mi gelo. Scatta nella mia mente un film (tragico ovviamente): ora le viene un infarto e muore. Chiamo l'ambulanza. Poi penso che forse è agitata e spaventata.
Le sfioro una mano (l'altra), la rassicuro.
- Signora, vuole un bicchiere d'acqua?
Mi guarda, ancora dolcemente.
- Si, grazie.
Punto al bar aperto, di fronte a noi. Il proprietario dell'auto - che nel frattempo sorregge la signora - mi dice: Ci vado io.
Rimarcando come la cosa sia affar suo.
Sorrido decisa.
- Sono qui, mi rendo utile.
Entro, forse non saluto nemmeno. Chiedo un bicchiere d'acqua e spiego velocemente cosa è accaduto. Il barista mi porge l'acqua e chiede se serve chiamare l'ambulanza. Gli dico che non lo so, che io l'avrei chiamata. Lui si affaccia alla soglia, non esce. Guarda e rientra.
La signora, con le mani tremanti, beve l'acqua. Mi restituisce il bicchiere.
- Grazie signorina (resterò "signorina" a vita, anche a quarant'anni probabilmente).
Il proprietario dell'auto intanto la invita a sedersi in macchina. Chiedo nuovamente se serve chiamare l'ambulanza.
Lui mi guarda storto, ho l'impressione che cerchi di estromettermi dalla conversazione, è come se gli dessi fastidio. Chiede alla signora dove sta andando, se vuole essere accompagnata in auto, la invita a sedersi per riprendersi un attimo.
Lei accetta.
Con lui ci sono una donna di colore e due ragazzine. Tutte e tre immobili. Intorno alla macchina.
Dall'altro lato della strada - quello in cui ero io - ci sono sparuti osservatori. Credono di essere al cinema o a teatro probabilmente.
La signora mi sembra star meglio.
Le sorrido.
- Se non ha bisogno, io vado.
- Sto bene. Grazie davvero, signorina (e due).
Mi ringrazia anche il proprietario dell'auto, frettolosamente.
Riprendo a camminare, ripenso a quanto accaduto. Penso ai passanti fermi. Non è la prima volta. Lo leggo spesso sui giornali. Gente che guarda, che non interviene, che preferisce veder scorrere la vita davanti a sé, che non si sente chiamata in causa, se non per lamentarsi, per commentare, per avere qualcosa da dire. Come se agire non fosse contemplato. Come se una cosa ti riguardasse solo se ti coinvolge fisicamente, in prima persona, solo se ti sbatte addosso.
Forse era questo che pensava il proprietario dell'auto. Che avrei dovuto farmi i fatti miei. Che io non c'entravo. Che erano affari suoi e della signora.
Però apparentemente ci interessa tutto. Ci riguarda tutto se dobbiamo parlare, dire, schierarci, criticare, contestare, polemizzare. Ci interessa tutto, soprattutto sui social. Siamo tuttologi. Esperti in ogni materia.
Mi sono allontanata ormai. Da un lato ripenso che sto per raggiungere Missori, che prenderò la metro e che sarò "presto" a casa. Dall'altro ripenso alla signora. Come andrà a finire. Forse avrei dovuto fermarmi un altro po'.
D'un tratto irrompe nella quiete domenicale: è l'ambulanza. Non può essere una coincidenza. Mi giro. Si ferma in prossimità del bar.
Torno indietro, penso.
A cosa serve? Ci sono i soccorsi. Mi dico.
Mi assale la sensazione di aver lasciato perdere, di essere andata via troppo presto, di non aver fatto abbastanza.
Ci sono i soccorsi, chi meglio di loro può pensarci adesso?
Riprendo a camminare verso la metro.
Affido al Signore la signora.
Dalle un occhio tu, gli suggerisco.
(Ho sempre un sacco di suggerimenti per Dio, fossi in lui mi assumerei).

Un abbraccio particolare a Valeria per i suoi suggerimenti e incoraggiamenti, anche se non sono Dio!

Un abbraccio virtuale a tutti voi lettori e appuntamento alla prossima storia senza fretta!

A presto,
Polo

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martedì 14 gennaio 2014

Ciao Gioia!

Ci scrive ancora Matteo, una storia di una giornata come un'altra. Un saluto particolare però può farci evadere dal cielo grigio, dalla pioggerellina e dall'orologio che ci rincorre anche se è un week-end, anche se è sabato mattina e siamo a Sulbiate.
E' una giornata col cielo coperto. E' sabato mattina e mi sono svegliato alle sette perché ho una riunione a Milano. A Milano!!! E io che volevo dormire. Vabbè. "Dai Matteo" penso "per una volta anche se dormi quattro ore non è la fine del mondo". Tutto in silenzio per non svegliare gli altri scendo, mi preparo ed esco. Prima di andare a Milano, dove due amici mi aspettano per una colazione pre-riunione, per affrontare il viaggio in solitaria ho bisogno almeno di un caffè. Visto che devo ritirare un giornale colgo l'occasione, al volo, e faccio tappa in edicola e al bar. Ritiro il numero di gennaio di Linus, contiene anche il calendario 2014 non di Belen o dei calciatori ma dei Peanuts!!! E già sono un ragazzo felice per questa giornata. Scoprire poi che su giugno, mese del mio compleanno, c'è Snoopy in versione scout mi rende ancora più felice. Ma questa è un'altra storia.
Fuori dall'edicola, subito dentro nel bar. Stranamente è vuoto. La barista, seduta al tavolino, legge informazioni e guarda le foto di un incidente di sci col salto. Quello sport, un po' estremo, dove sciatori senza racchette si lanciano da una pedana cercando di cadere il più lontano possibile, il più possibile in piedi. Penso che uno sport così non lo farei proprio mai ma è pur sempre un argomento così parliamo un po' e nel mentre le chiedo un cappuccio. Dico chiedo e non ordino, ci tengo a sottolinearlo.
Il cappuccio è ottimo, come sempre. Mezza tazzina di schiuma soffice soffice che quasi mi ci tuffo dentro ed un cioccolatino che accompagna il tutto.
Intanto il bar si è un po' riempito.
Mentre col cucchiaino pulisco per bene tutta la schiuma dalla tazzina, assolutamente non deve restarne nemmeno una goccia, ascolto e mi guardo in giro.
Entrano una signora sulla settantina che si siede al tavolino col giornale ed una mamma con la figlia.
La signora chiede un cappuccio, intenditrice direi! La mamma e la figlia invece chiedono rispettivamente un caffè macchiato e del latte con un po' di cacao da mescolare con, udite udite, un cucchiaino di cioccolato! Mi illumino. Ignoravo l'esistenza di tale cucchiaino! E' bellissimo! Se fossi un bimbo lo vorrei sempre! In realtà lo prenderei volentieri ancora. Ma la cosa che più mi stupisce è che la barista sapeva già tutto. Sapeva già cosa le avrebbero chiesto, il margine di errore era molto limitato. Non solo, chiede alla bimba qualcosa di scuola e alla signora chiede semplicemente come va. Sarà che in un paese piccolo ci si conosce tutti, sarà che lei fa il suo interesse ad essere cortese e gentile, sarà che come tutte le donne magari ama interessarsi degli altri, sarà quel che volete. A me invece piace pensare che è diverso essere cortesi con tutti e voler far due chiacchiere con tutti. Nessuno glielo fa fare, potrebbe limitarsi a meno, ad un ciao. Invece no. A me piace, crea un ambiente sereno e quasi famigliare nel suo bar, luogo di passaggio per definizione reso così accogliente con poco. Nel frattempo ho spazzolato per bene tutto il cappuccio. Prendo le mie riviste, pago e la saluto perché devo andare.
Quando esco mi saluta come sempre, come fa con molti.
"Ciao Gioia!"
Ciao Gioia. Non lo dicono più in molti, anzi, a parte qualche nonna ai nipotini non lo dice proprio più nessuno.
Gioia a me, gioia per uno stato mentale allegro e sereno. Bello essere gioiosi.
Gioia perché sei una bella persona, gioia perché ti conosce, gioia perché lei è una persona gioiosa e gentile. Chi lo sa. Io so solo che iniziare una giornata con un "Ciao Gioia!" è decisamente bello. Se poi sono le otto di un grigio sabato mattina, beh, lo è ancora di più. Scappo a Milano.
Ciao Gioia! E con un "Ciao Gioie!" vi saluto anch'io e vi dò appuntamento alla prossima Storia senza fretta!

Un abbraccio e a presto,
Polo

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