domenica 29 dicembre 2013

Fate gli auguri... anche a voi stessi!

Eccoci giunti a fine anno, tempo di discorsi in pompa magna con le bandiere nazionali alle spalle, reti unificate e buoni propositi. In questo marasma di festeggiamenti lavorare sui mezzi pubblici ha sempre un suo fascino.
Il pendolare medio lascia il posto al viaggiatore occasionale per un paio di settimane.
Ti ritrovi così ad avere a che fare con persone che non si spiegano come sia possibile che il treno da Milano a Brescia non fermi in una città importante come Bergamo, comitive che timbrano il biglietto A/R due volte all'andata e non hanno spazio per timbrare il ritorno.
In questa atmosfera natalizia i treni rimangono gli stessi, ma cambiano le persone.
Capita più volte durante la giornata di farsi gli auguri, a volte con colleghi incontrati per caso, altre volte con viaggiatori educati.
Facciamo dunque un sacco di auguri alle persone più disparate, ma io mi sono chiesto una cosa: questi auguri ve li siete mai fatti a voi stessi?
No, non sto dicendo di guardarsi allo specchio e dirsi Buon Natale, né di autoinviarsi un sms, sono sicuro che qualcuno di voi già ci ha provato. Io sì, lo confesso!
Non intendo nulla di tutto ciò,voglio solo dire di fermarvi un attimo, anche solo la sera prima di andare a letto, che tanto non ci si addormenta subito!
Voglio proporvi una cosa che ho già proposto a qualche mio amico come pensiero per queste feste.
Provate a rispondere a queste tre domande:

  • Cosa ho fatto quest'anno che rifarei l'anno prossimo?
  • Cosa ho fatto quest'anno che non rifarei l'anno prossimo?
  • Cosa non ho fatto quest'anno ma vorrei fare l'anno prossimo?

Quando ci avete pensato, prendete un foglietto e scriveteci queste tre domande seguite dalle vostre più disparate risposte, se preferite potete anche solo appuntarvi le risposte.
Mettetelo dunque in un cassetto di quelli che aprite tutti i giorni, anche unito ad una saponetta profumata se scegliete un cassetto dei vestiti.
L'importante è che non vada nel dimenticatoio, così da darvi un occhio ogni tanto, per ricordarci cosa abbiamo a cuore e cosa ci siamo augurati. Per una volta a noi stessi.

Buone feste e buon anno nuovo a tutti voi cari lettori.

Un abbraccio e a presto,
Polo

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Ecco le tre domande pronte da stampare!


mercoledì 4 dicembre 2013

Il Caseificio di montagna

Eccoci di nuovo qua, dopo una settimana di assenza, a parlare di storie senza fretta.
Quella di oggi è nata grazie ad un week-end in montagna, di quelli rigeneranti fatti da un'ottima compagnia, aria buona e soprattutto cibo che in quell'aria buona ci nasce.
Verso le quattro e mezza, quando il sole già comincia a fare giochi d'ombra con le cime dei monti, arriviamo a Predazzo, in piena Val di Fiemme.
La macchina carica di aria viziata, le gambe anchilosate per il viaggio, appena apriamo le portiere veniamo svegliati dalla fresca aria di montagna.
Inspiro a fondo godendomi questo "risveglio" in una valle dove le piste da sci stanno chiudendo e la gente si rifugia nei bar per scaldarsi.
Li vedi subito, qualcuno ha lo snowboard in mano e lo porta in giro come porteresti una sagoma di cartone: sempre in piedi e ben in vista.
Qualcun altro invece ha gli scarponi da sci e cammina come se fosse appena sbarcato sulla luna.

Predazzo (TN) - Val di Fiemme
Apriamo la porta del negozio ed un forte odore mi investe, non so se definirlo odore o puzzo ma propendo razionalmente per la prima opzione dal momento che siamo in un caseificio.
Abituato ad avere sotto il naso un formaggio alla volta, tutte quelle forme dei più disparati prodotti caseari mandano in palla il mio olfatto.
Innanzitutto prendiamo una bottiglia di latte crudo, semplice come il suo contenuto, di quelle che vedi in mano ai pastorelli nei presepi. In cima si può già notare un filo di panna, segno della genuinità del prodotto.
La nostra attenzione si sposta dunque sui formaggi.
Qualcuno prende un "Puzzone" da portare a Milano, dove più che un formaggio è un aggettivo neanche troppo carino.
La signora dietro al banco ci fa poi assaggiare un formaggio stagionato e immerso qualche giorno nel vino. Non per niente lo chiamano Ciok, ciucco. La buccia infatti è scurita e il sapore è deciso. Ci convince, accompagnerà la nostra cena.
Mi guardo intorno e vedo quello che è in fin dei conti un negozio di montagna, caratteristico nella sua semplicità, molti scaffali e rifiniture in legno che ti fanno apprezzare ancor di più il calore, mentre fuori si fa buio.
I formaggi di per sé sono una storia senza fretta, a volte penso a quanto dura la loro stagionatura e mi stupisco di quante cose ho fatto io nel frattempo.
Sono prodotti che acquistati in montagna fanno un effetto ancora maggiore. In un mondo senza fretta, che culla la loro stagionatura, i rumori sono più attutiti, complice anche la neve. I monti sembrano lì apposta a fare da scudo al mondo rumoroso e frettoloso delle metropoli.

In mezzo a questa settimana ho voluto raccontarvi un quadretto di quello che è stato un rilassante week-end. La montagna è sicuramente un paesaggio ricco di spunti, chi ci va più spesso di me lo saprà bene.
Spero, come sempre, di essere riuscito ad alleggerire qualche momento della vostra giornata.
Buona settimana a tutti!

A presto,
Polo

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martedì 26 novembre 2013

Basta esser contenti, e sempre ci troveremo bene

Ieri sera ho finito di leggere il Diario di mio nonno paterno. Gli spunti sono infiniti e proverò in queste righe a raccontarvi ciò che di più interessante vi ho trovato.



Ambientato in Toscana fra gli anni '46 e '47, parla di un'Italia appena uscita dalla guerra.
Diciamo piuttosto che parla IN un'Italia appena uscita dalla guerra. Nei racconti infatti descrive quella che è la sua vita quotidiana del tempo, dove lo svago maggiore era probabilmente il cinema all'aperto.
Troviamo così appunti di passeggiate sul lungo mare viareggino, piuttosto che l'incontro con la mamma a La Spezia, casualmente anche lei di rientro da una gita domenicale.
Il treno affollato è forse la sola cosa ad essere rimasta invariata nel tempo.
Quello in cui mio nonno si aggira è un Paese che pian piano sta rinascendo, comincia a ricostruirsi.
A Rescello infatti, nell'entroterra di Massa, la casa di suo padre è stata bruciata dai Tedeschi.
Mio nonno così parte da Viareggio e va a Massa per parlare col geometra che ne curerà la ricostruzione. Non lo trova, ha fatto tutta quella strada, non poca per il tempo, ma il geometra non c'è quindi lascia detto al cugino.
Lo scrive con una normalità a cui oggi non siamo più abituati, ma al tempo era effettivamente all'ordine del giorno. Senza tutta la tecnologia che abbiamo oggi le cose dovevi farle, nel vero senso della parola, e in questo la gente era sicuramente migliore.
La mancanza di tecnologia portava le persone a comunicare a viva voce, faccia a faccia e se andava male si lasciava detto, dovevi bussare alla porta di qualcuno, o tirare il campanello. Sì, perché in alcune case tiravi un nottolino che, collegato ad una corda, faceva muovere un vero e proprio campanello.
Oggi telefoniamo, mandiamo le mail o chiediamo l'amicizia su Facebook. Prendiamo appuntamenti ben precisi, abbiamo orari scanditi e pretendiamo che il treno ci porti a destinazione nel minor tempo possibile.
A quel tempo proprio no. I miei nonni, per darvi un'idea di una gita di piacere, partirono da Viareggio col treno delle 5.22 del mattino e arrivarono a Livorno alle 8.
Anche una tratta semplice come Viareggio-Livorno, nell'immediato dopoguerra in cui mio nonno scrive, richiede ore di viaggio e tanta pazienza.
Se avevi fretta non eri di quel mondo, gli spostamenti erano tutti in bici, a piedi o con mezzi pubblici.
Quelli citati da mio nonno, oltre al treno, sono la corriera per Lucca e il "Cammio" che li portò in gita col CAI, probabilmente un camion militare recuperato dall'Esercito a guerra terminata.

Sono interessanti alcune espressioni di Italiano arcaico come "Passeggiamo un poco quindi andiamo a casa del maestro Gonnella Giovanni. Ivi desiniamo."
Queste ultime due parole, entrambe in disuso, rendono però alla perfezione l'idea. Mi ha colpito non tanto il verbo desinare quanto la parola "ivi": in maniera concisa riassume ciò che oggi diremmo con altri giri di parole sicuramente più lunghi.

Oppure "Mario riparte per Piastroso e porta seco mia sorella Luisa"
La particella seco non ha bisogno di molte considerazioni, parla da sola, con tutto il Latino che si porta sulle spalle.

Il Diario si chiude con uno scritto dal pugno di mia nonna, Nonna Meri, una donna serena con l'uomo giusto al suo fianco. Ammiro questa sua serenità e voglio chiudere con questo passo.
Sono lei e mio nonno in una casa affittata per pochi mesi, da soli. Si stanno ancora abituando a questa nuova dimensione di coppia, hanno infatti passato il primo anno di matrimonio "nell'affollata casa di famiglia" di mio nonno.
E' sera e fuori piove. "Si veglia chiacchierando o leggendo qualche libro o novella [...] Stare da me sola con mio marito era sempre stato il mio sogno quantunque non mi trovassi male neppure in famiglia a Viareggio. Purtroppo questa casa non è nostra e a Giugno dovremo ripartircene, ma che importa? Basta essere contenti e sempre ci troveremo bene. Fuori piove e noi si lascia piovere e si va a letto."

Buona giornata cari lettori!
A presto,
Polo

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venerdì 22 novembre 2013

Quando chiamarlo "Diario" è riduttivo

Viareggio, 28 Luglio 1946 - domenica

Su questo libro inizio oggi il diario della mia vita da coniugato. Su queste pagine annoterò i fatti più importanti, i dolori, le gioie, i viaggi, i cambiamenti e variazioni, sia familiari, sia economici. Così, rileggendo un giorno, potrò aiutare la memoria a ricordare le vicende della vita e trarne buoni ammaestramenti.



L'inchiostro ha leggere sbavature qua e là, la parola Bic non aveva certo alcun significato, e anche cancellare non era affatto previsto.
Mio nonno era insegnante di professione e, considerato il tempo, si nota dal modo in cui si esprime.
Avete letto qua sopra l'incipit del diario che il nonno Lelle, al secolo Emanuele Baldini, cominciò a scrivere pochi giorni dopo il matrimonio, all'età di trent'anni.
Ho voluto citare questo passo così come lui lo scrisse. Nei prossimi giorni lo leggerò un po' alla volta, con il tempo che una lettura del genere merita.

Spero di trovare spunti interessanti e magari altri passi da citare. (già ho sbirciato che si sposarono alle cinque di mattina!!!)
Vi renderò partecipi, con l'aiuto di mio padre e dei parenti, di tutte quelle sfumature che nella vita frenetica del mondo di oggi difficilmente si colgono.

Un abbraccio e buon venerdì a tutti!
A presto,
Polo

mercoledì 20 novembre 2013

La casa nei pini

Ognuno di noi ha i propri luoghi dell'infanzia. Chi ha avuto la fortuna di passarla serenamente ricorda con piacere quei posti, con luci, rumori e odori che li caratterizzavano.
Fra i miei luoghi ne ho uno a me caro in particolare.
Cittadina toscana che si affaccia sul mare, perla della Versilia, a Viareggio risiedono tutt'ora molti parenti da parte di mio padre.
Ha sempre avuto un certo ascendente su di me forse perché da piccolo era sinonimo di vacanza. Amo quell'aria di mare che ti stuzzica il naso e personalmente la associo tutt'ora al relax.
Anche fare i compiti, una volta che mia mamma riusciva a legarmi alla sedia, non era poi così triste come temevo.

Viareggio - B&B La Casa nei Pini

Quella che oggi è diventata su tre piani il B&B La Casa nei Pini, negli anni novanta era una semplice villetta su due piani dove mio padre e i suoi fratelli erano cresciuti.
Circondata da un giardino con due bei pini marittimi, è sovrastata da un tetto spiovente, carico di aghi di pino, che al tempo nascondeva sotto di sé una soffitta.
Luogo senza tempo, potevo trovarci di tutto, ma ancora prima, senza cercarlo, mi investiva un odore di umidità da far paura.
Quell'odore, puzzo al naso degli adulti, per un bambino come me significava il paese dei balocchi. In quello spazio, il più angusto di tutta la casa, trovavo un sacco di oggetti che a casa mia non avevo mai visto.

Ricordo un vecchio lettore 45 giri bianco e rosso e una radio in legno pesantissima con un sacco di rotelle e di numeri perché per trovare il canale dovevi essere davvero bravo.
Vi era anche un altro aggeggio, sempre in legno ma più piccolo.
Di forma cubica, aveva una cupola in metallo nella parte alta con una manovella al centro. Questa cupola si apriva e ruotando la manovella restituiva qualcosa nel cassettino posto nella parte inferiore.
Cresciuto negli anni novanta, in casa mia non ne avevo mai visto uno e tutt'oggi non ce l'ho, ma imparai in quella soffitta, con l'aiuto di mio padre, che il caffè tostato si usava un tempo macinarlo a mano.
Le confezioni di plastica sottovuoto che fanno durare anni il caffè già macinato non sono poi così vecchie.

Ricordo poi un trenino giocattolo. Una carrozza marrone come già poche se ne vedevano in giro, è rimasta nella mia memoria per un particolare.
Tutta in plastica ma ben rifinita, aveva il tetto grigio. Il particolare era che quest'ultimo si sollevava portando con sé due listelli di plastica trasparente, prolungamenti verso il basso dei lati più lunghi. Questi formavano, a tetto chiuso, i vetri dei finestrini.
Ciò permetteva di mettervi all'interno omini o altri oggetti che la rendessero più realistica.
Era uno dei pochi trenini di mio padre che tanto li amava da piccolo, ma negli anni '50/'60 non era certo alla portata di tutti.
Questo il motivo per cui quando nacqui io, visti i tempi più propizi, mi regalò un plastico monta/smonta della Lima, rotaie elettriche, locomotiva e qualche carrozza non più marrone.

Nessuno poteva immaginare che sarebbe stato solo il primo dei miei passi verso la ferrovia.

A presto,
Polo

Una dedica e un abbraccio a tutti i miei parenti Viareggini, la storia di oggi è per loro, grazie a loro.

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martedì 19 novembre 2013

Treni notte, culla di pensieri - Seonda parte

Terra di tutti, terra di nessuno. Terra di strapuntini, terra di guance e tempie contro il vetro, contro la parete, contro qualcosa che con le guance non va d'accordo.
Con le tempie ancora meno.
Nel corridoio di un treno notte, valgono delle regole non scritte, ma insite negli sguardi, nei borbottii. Non importa come sei vestito né che sai soltanto quattro parole di Italiano: non puoi scomodare troppo chi sta viaggiando accampato lì.
Se vuoi passare per andare in bagno ok, ma devi fare una cosa veloce, prima che si riaddormentino le persone che hai scomodato.
Se le svegli una volta ok.
Ma se le svegli una seconda volta e si ricordano di te, ecco, diciamo che non è ok.


Attraverso questa giungla di regole non scritte e raggiungo il bagno.
Faccio per tornare al mio posto quando vengo rapito dal vetro di coda.
Sono sull'ultima vettura!
La ferrovia corre al contrario, tutto arriva in un attimo, non fai tempo a metterlo a fuoco che subito scompare.
Le ruote del treno sferragliano incessantemente sulle rotaie dritte come un fuso. Poi il treno si inclina, le ruote sibilano leggermente e le rotaie si snodano sinuosamente prima da una parte, poi dall'altra.
Il treno sembra essere una pattinatrice sul ghiaccio che fa le piroette con i nastri. Lucidi e sinuosi seguono ogni suo movimento.
Qualche bagliore annuncia l'arrivo di una stazione, non fai in tempo ad abituarti ai flash dei neon che subito torni nell'oscurità, e la ballerina riprende a danzare coi suoi nastri.
Resto un po' lì, perso nei miei pensieri, quando mi accorgo dei controllori, entrano negli scompartimenti, accendono le luci e chiedono i biglietti, tutta la carrozza è sveglia.
E' il momento migliore per tornare al mio posto senza disturbare nessuno, mi è andata bene.

Ho voluto raccontare, in questi due giorni, questo viaggio che per me significò molto.
Lo dedico a tutti quei colleghi di Treni Notte che un paio di anni fa si sono trovati da un giorno all'altro senza lavoro e hanno dovuto lottare, alcuni accampati sulla torre faro di Milano Centrale, a lungo salutata dai fischi dei treni.



Da domani tornano le storie di tutti i giorni, voi continuate a dare spunti e suggerimenti ai soliti contatti!

A presto,
Polo

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domenica 17 novembre 2013

Treni notte, culla di pensieri - Prima parte

Estate, fine Agosto, caldo.
Di quel caldo che per sentirti in vacanza ti metti le infradito anche per fare la spesa.
Poi appena arrivi nel reparto surgelati ti penti, ma è sempre troppo tardi.
Sto rientrando da una vacanza nel Salento. Ho sì e no vent'anni e sono da solo, questo vuol dire che mi si prospetta un'unica alternativa caratterizzata da:
Treno.
Posto a sedere.
Notte.

Foto: Ernesto Imperato - TrenoManiaFoto

La sala d'attesa della stazione di Lecce brulica di gente. La mia unica compagna di viaggio è la chitarra di un amico.
C'è chi fa la coda in biglietteria sperando di fare in tempo prima che chiuda, qualcuno invece allunga il collo, oltre il viavai di persone. Guarda fuori dall'ingresso, dove ha lasciato la macchina in doppia fila sperando che non sia di troppo intralcio.
Le calzature ai piedi sono delle più svariate, si va dall'infradito già citato in apertura fino allo scarpone di cuoio del metallaro convinto, passando per l'immancabile sandalo col calzino. Bianco. Il calzino.
Se non fosse per l'abbinamento sandalo-calzino, li noteresti subito da come si guardano intorno spaesati. Padre e madre, quest'ultima con bimbo in braccio, carnagione chiara arrossata dal sole delle nostre latitudini, tutti e tre semplicemente Biondi. Di sicuro non doveva essere questa la loro idea iniziale di viaggio, fatto sta che ci sono dentro e cercano di capire dove andare. Conoscono quattro parole di Italiano e non riescono a metterle a fuoco fra le insegne della stazione.
Io sono lì, chitarra fra le mani e sguardo perso.
Forse per il mio sguardo, un po' perso come il loro, decidono di chiedere a me. Hanno un biglietto del treno ma è bianco e porta scritti solo gli orari dei loro treni e le coincidenze. Si fanno capire in un mezzo Inglese e chiedono dove sia il treno per Milano. Non hanno tutti i torti visto che l'orario di partenza è imminente, loro non lo sanno ancora ma qui, in Italia, ad Agosto, è una storia senza fretta. Gli faccio segno di non preoccuparsi e di aspettare con me. Il loro sguardo diventa un po' meno perso e la mamma decide che può rimettere giù il bimbo. Ha capito che qui, stasera, stanotte, non si corre.

Con calma il treno arriva, viaggiando da solo mi muovo agilmente e non faccio fatica a conquistare un posto finestrino. Sarà un po' più scomodo alzarsi ma almeno posso guardare fuori.
Con gli altri cinque compagni di viaggio decidiamo, all'imbrunire, che la luce si può tenere spenta e questo aiuta i miei occhi a vagare fuori dal vetro, in spazi più ampi del minuscolo scompartimento da sei posti.
Il treno corre veloce e gli occhi seguono, per quel che riescono, luci e figure che sfrecciano di lato.
Mi ritrovo a rubare attimi di falò sulla spiaggia, discoteche sotto le stelle, griglie fumanti gestite da ragazzi, cuochi per una notte.
Il treno rallenta, non ci sono luci né colori fuori dal finestrino, lo abbasso con il tacito consenso dei miei compagni di viaggio. Ecco che nell'oscurità sento il profumo di salsedine e il rumore del mare.
Un mare calmo, un mare che quasi sottovoce accarezza gli scogli, illuminati fievolmente da qualche luce del treno.
Il tempo di assaporare questo quadretto, il treno fa un fischio e riprende velocità.
Rialzo il finestrino, già che sono in piedi sgranchisco le gambe e mi avventuro in corridoio.
(continua)

Buon inizio di settimana!
A presto,
Polo

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sabato 16 novembre 2013

Il Piccolo Principe e il Controllore

"Buongiorno", disse il piccolo principe.
"Buongiorno", disse il controllore.
"Che cosa fai qui?" domandò il piccolo principe.
"Smisto i viaggiatori a mazzi di mille", disse il controllore. "Spedisco i treni che li trasportano , a volte a destra, a volte a sinistra".
E un rapido illuminato, rombando come il tuono, fece tremare la cabina del controllore.
"Hanno tutti fretta", disse il piccolo principe.
"Che cosa cercano?"
"Lo stesso macchinista lo ignora", disse il controllore.
Un secondo rapido illuminato sfrecciò nel senso opposto.
"Ritornano di già?" domandò il piccolo principe.
"Non sono gli stessi", disse il controllore. "E' uno scambio".
"Non erano contenti là dove stavano?"
"Non si è mai contenti dove si sta", disse il controllore.
E gli rombò il tuono di un terzo rapido illuminato.
"Inseguono i primi viaggiatori?" domandò il piccolo principe.
"Non inseguono nulla", disse il controllore.
"Dormono là dentro, o sbadigliano tutt'al più. Solamente i bambini schiacciano il naso contro i vetri. Quelli sì, che sono fortunati", disse il controllore. 

In questo week-end in cui vi ho chiesto di stare col naso schiacciato al finestrino, ho voluto pubblicare questo passo tratto da "Il Piccolo Principe" di Antoine De Saint-Exupéry.
Un brano semplice e significativo.

Ora sta a noi far vedere al Piccolo Principe e al Controllore che non bisogna per forza essere bambini per schiacciare il naso contro i vetri!

Buon fine settimana e a presto,
Polo





venerdì 15 novembre 2013

Il naso schiacciato al finestrino

Venerdì, finalmente!
Ultimo sforzo della settimana lavorativa, molti hanno la testa già al weekend, alcuni si prendono una mezza giornata per goderselo al meglio, altri, poveretti, quella mezza giornata ce l'hanno sempre.
E allora la pausa caffè si fa più rilassata, ci si racconta fra colleghi i piani del fine settimana, in qualche modo già si assaporano.
In fin dei conti, come insegna la Volpe al Piccolo Principe, l'attesa è fondamentale.

Non so cosa farete, chi vedrete né dove andrete.
Vi chiedo solo, durante questo week-end, di essere un po' come quei bambini che lungo il viaggio schiacciano il naso contro il finestrino.
Chissà, magari ne incontrerete qualcuno!

Beh, ora mi spiego.
Mentre vi state godendo questi due o tre giorni, dove che sia non importa, provate per cinque secondi a guardare, assaggiare, ascoltare, respirare quel che vi sta intorno.
Dalla tavola imbandita per un compleanno alla corsa sotto la pioggia, piuttosto che il crepitio del caminetto.
Non abbiate timore di essere banali e non andate neanche alla ricerca dell'impossibile. Non c'è risposta giusta o sbagliata a questa mia richiesta. Scrivete quel che sentite, nel modo che vi viene più naturale, anche solo due parole.
Se volete farlo in compagnia tanto meglio!
Penserò poi io a sistemare tutto.
Voi pensate solo a vivere appieno questi momenti, senza fretta.

Per condividerli potete scrivere una mail a storiesenzafretta@gmail.com oppure mandare un messaggio alla pagina https://www.facebook.com/stosenzafretta.


Buon fine settimana a tutti,
Polo

Img: www.pianetamamma.it

giovedì 14 novembre 2013

Il super eroe che fa spuntare il sole

La storia di oggi la manda Matteo, una semplice corsa in tram dove non ci sono Facebook, Candy Crush o qualche altro intrattenimento all'ultimo grido.
Lui osserva.
Ci regala così suoni, rumori e colori che ancora accompagnano le corse su quei tram, se vogliamo, anche poco confortevoli. Dalla telefonata ad alta voce, a un canterino improvvisato, fino all'inconfondibile "Din!" della Fermata Prenotata che lampeggia in rosso sopra le teste pronte a scendere.


Non è così difficile come potreste pensare, scrivete anche voi a storiesenzafretta@gmail.com!

Buona lettura!
Polo


Img: www.atm.it

L'altro giorno a Milano ho preso un tram. Uno di quelli che tanto mi piace, un tram vecchio dai sedili in legno, quei tram con un'atmosfera particolare. Precisamente ero sulla linea 23, salito a Piazza Fontana dovevo scendere in Città Studi.
Per tutto il percorso, stando prima seduto e poi in piedi, ho osservato.

Orario di uscita dalle scuole, tanta gente, come sempre.
Sono seduto, in parte una signora che parla al cellulare col suo "ammmòòòòòreee", praticamente lo urla al tram.
Dalla parte opposta un signore di mezza età, legge un libro. Credo sia d'avventura, ma è su iPad. Non sopporto gli e-book, li ritengo scomodi e non si sente l'odore delle pagine, non si può neanche sfogliare nulla...
Sale una signora anziana e da bravo scout (cittadino comune) mi alzo e mi sposto in fondo.

Nel percorrere il tram incrocio un anziano, attraversa il tram con aria cupa, cappello in testa e giornale sotto braccio. "Questi studenti di merda..." borbotta. Ottima idea del futuro, bravo nonnino.

Il fondo è la posizione migliore, si vede tutto il tram!
Cinque o sei studenti, quelli tanto amati dal nonnino, parlano dell'ultimo modello di cellulare e di nientemenoché... One-Piece!!! Mah?!? Vabbè.

Ho in parte un ragazzo e una ragazza di 15 anni, ci provano l'uno con l'altra. Più probabile che sia solo lui a provolare con lei ma lasciamo che si illuda.
Un giovane ragazzo universitario fissa il vuoto, esami, tesi, tirocinio? Non lo so, quel che conta è che alza la testa, mi guarda e fa un sorriso. Ricambio.

Fermata. Sale un senzatetto, è visibilmente alticcio. Viene verso il fondo. Appoggia la sua bisaccia e ci si siede sopra. Inizia a cantare. Penso "Che bravo! Io mi sarei vergognato un sacco!".
La canzone è originale, parla di se stesso, dice che lui fa spuntare il sole quando vuole, e in questa Milano di pieno Autunno non è certo cosa da poco.

Una signora, si direbbe 70 anni, un cappotto nero e una sciarpa azzurra, molto elegante devo ammettere. 
Prenota la fermata e si sente il solito "Din". Splendido.


Il senzatetto riprende a cantare... diciamo piuttosto che riflette ad alta voce.

Dice di avere i bronchi sporchi, di non stare tanto bene, di essere un po' stanco ma poi aggiunge che l'importante è che lui, quando vuole, può far spuntare il sole.
Si alza e scende due fermate prima di me.
E' un super eroe, è un super senzatetto.


Matteo



mercoledì 13 novembre 2013

Buona giornata, davvero!

La sala accettazione del Policlinico di San Donato è un luogo senza tempo. Un luogo in cui ti accomodi con un numerino in mano e sai che avrai almeno cento persone davanti. Puoi arrivare a qualunque ora, ma non ce n'è, ce ne sono sempre almeno sessanta che sono arrivati prima di te. Forse dormono lì e saltano fuori all'alba, all'accensione della macchina distribuisci-biglietti.
Ho il numero 310. Osservo lo scorrere dei numeri sul tabellone digitale, mi guardo intorno, ascolto frammenti di conversazioni in genere poco edificanti: tutti si lamentano per l'attesa, tutti si stufano ad aspettare il proprio turno, tutti hanno qualcosa per cui reclamare.
Accanto a me si siede un uomo, avrà una quarantina d'anni, forse qualcosa in più. Un uomo come tanti, modesto, tranquillo, pacato. Non sbuffa, non armeggia con i fogli, non guarda l'ora ogni secondo.
Tira fuori dalla tasca un telefono, modesto anche quello. Chiama il padre, vuole sapere come sta oggi, se ha ancora la febbre. Una telefonata ordinaria, come se ne possono fare tante. Eppure il suo tono mi colpisce. Il suo modo di rivolgersi a quel genitore che immagino anziano, a casa, magari solo.
C'è un affetto sereno, un'attenzione al parlare con calma, un tono confidenziale ma rispettoso. Aveva proprio voglia di sentire come stava suo papà, non è una telefonata di cortesia. Ascolta a lungo il papà, lo rassicura, sembra gli faccia una carezza con quella voce così buona, accogliente, garbata.
Il papà è in qualche modo preoccupato per un regalo che devono fare. Lui lo rassicura, si organizzerà con Tiziana e andranno nel weekend. Sabato o domenica, da valutare. Ma poi il regalo passa in secondo piano, il papà ha bisogno di un cappotto, per l'inverno. Il figlio, gentilmente, gli dice che lo andranno a prendere insieme, sabato o domenica, ne parlerà anche di questo con Tiziana. Andranno nel negozio in cui il papà si trova bene. Un'altra rassicurazione.
La telefonata si chiude.
Vorrei dirglielo. Vorrei dire a questo signore che il modo con cui si rivolge a suo papà è di una dolcezza che mi commuove. Vorrei dirgli che è bello sentire in una sala d'accettazione dove tutti sbuffano queste piccole conversazioni familiari. Non lo faccio. Non voglio entrare più di quanto ho fatto nella vita di una persona seduta semplicemente accanto a me.
Il signore mette via il telefono. Si volta verso di me e mi guarda. Lo guardo anche io e poi distolgo lo sguardo. Mi chiede se è tanto che aspetto. Gli dico di no, incredibilmente questa volta ho solo quaranta persone davanti. Lui mi racconta che qualche giorno prima ne aveva centoventi ed era sbalordito. "Magari è normale, ma sa signorina, io vengo dal paesello".
Siamo a San Donato penso. Non proprio una metropoli. Ma penso al suo paesello, sarà certamente in campagna, oltre il cosiddetto hinterland più urbano.
Scambiamo due chiacchiere, poi tocca a me. Mi alzo, sbrigo le pratiche allo sportello e gli ripasso davanti. Gli auguro una buona giornata, gli sorrido. Lui si sporge verso di me, mi stringe la mano, mi augura una buona giornata. E me la augura davvero, glielo si legge negli occhi e nella voce. Mentre salgo le scale per andare al terzo piano penso che la sala d'accettazione senza tempo contiene anche questo: una pennellata di cortesia e di bellezza.

Vale
Img: www.meolandia.com

Pubblico così come è arrivata questa bella parentesi di vita quotidiana, non voglio aggiungere altro, solo un grazie di cuore all'amica Valeria che l'ha voluta condividere.

Non è così difficile come potreste pensare, scrivete anche voi a storiesenzafretta@gmail.com



martedì 12 novembre 2013

Quando una foto vale più di cento parole

Adesso vado e glielo chiedo, non posso perdere questa occasione.
"Signor Franco, quando arriviamo a Domodossola posso fare una foto con lei?"
"Con me?"
"Si, con lei."
"Certo!"
"Grazie!"
"Grazie a te!"

Questa è stata la breve conversazione quando il signor Franco è salito, come ogni mattina, a Cuzzago. Caramelle alla menta pronte in tasca e un paio di persone, oltre a lui, ad occupare parte della miriade di posti liberi.

La prima cosa che ho notato, durante quel breve scambio di battute, è stata proprio la faccia di quel paio di persone. Nel mondo del "Biglietti prego", sentire parole del genere non è certo cosa da tutti i giorni.
Per un attimo è stato chiaro a tutti i presenti, senza bisogno di spiegazioni, che quel mezzo sferragliante può essere qualcosa di più di un mero mezzo di trasporto.
Non è cosa da tutti i giorni neanche per Franco che non si fa sfuggire l'occasione e rilancia: vuole a sua volta farsi fare una foto, ma con la capotreno!

Arrivati a Domodossola, facciamo le foto e le guardiamo insieme.
Ma sono sul telefono, un apparecchio che quando lo nomini, Franco ripensa al dito che faceva girare il disco forato, un foro ad ogni numero, uno dopo l'altro, senza fretta.
Chiamare telefono l'aggeggio che ho in mano è forse riduttivo, non tanto manca il disco forato, mancano proprio i tasti, e in quel momento ci si vedono le foto. E basta.
Giustamente ne vuole una copia, e visto che la parola mail non risveglia in lui alcun significato (ho preteso troppo, avete ragione), gli chiedo se ha internet.
No, non ha il computer, pretendevo effettivamente ancora troppo.

Così, sotto un sole che finalmente fa capolino da dietro le nuvole, lo saluto promettendo di stampare le foto e fargliele avere alla prossima occasione, gli stringo la mano ringraziandolo ancora, una mano che è stata lavoratrice, dalla stretta ancora salda.
Lo guardo bene negli occhi azzurri sapendo che è una promessa senza fretta, ma io sono ancora abituato a non averne di fretta?
La foto e la promessa valgono più di cento risposte a questa domanda a cui, in quel momento, risposta non so dare. E così stampo le foto e attendo, come quando al telefono digitavi lo zero e dovevi aspettare che il disco rifacesse tutto il giro.

A presto,
Polo

Domodossola - Sabato 9 Novembre 2013


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giovedì 7 novembre 2013

L'uomo che saluta

Quando arrivi in stazione a Milano Centrale lui è lì, ma non lo vedi subito, quando arrivi in Centrale, a Milano, quante sono le cose che non vedi subito.
Come il poliziotto in borghese che gira col cane antidroga, lo confondi fra la folla oppure proprio non lo vedi, non ci fai caso. Cappotto grigio, capelli grigi e barba lunga, grigia anch'essa. A guardarlo bene non sapresti dove passa le notti, ma il panama bianco in testa è impeccabile.
E così sta lì.

E saluta.

Fa ciao con la mano, oppure alzandosi dalla testa il suo panama bianco, si ferma un attimo e ricomincia.
A non badarci troppo, puoi anche passargli di fianco, non ci fai caso, sembra che saluti qualcuno dietro di te, fra la folla.
In quanti lo superano ma non ci fanno caso. Tutti troppo abituati a correre giù in metropolitana, rimettere la suoneria al cellulare che non sia mai, se suona in treno la gente si lamenta, uno sguardo all'ultimo post di facebook, una faccina su whatsapp e in un baleno sei giù per le scale.
In metropolitana.
Fermo.
Prossimo treno fra 3 minuti.

Tre minuti? Ne bastano anche meno, così una mattina mi fermo, ma non in metropolitana. Decido che quei tre minuti li spendo lì, di fianco a lui, che magari è meglio che passarli in un tunnel.
Quindi lo supero di poco, mi fermo e mi giro a guardare dove guarda lui: ci sono tutti ma non c'è nessuno.
Le persone che a fiumi sciamano dai treni verso di lui gli passano accanto senza neanche notarlo, gli unici uomini girati nella sua direzione, vestiti di tutto punto portano in mano cartelli con nomi improbabili, come all'uscita di un aeroporto, ma non salutano.

Lui invece sì, lui saluta.

Penso che saluti una stazione che non c'è più, delle persone che non ci sono più. Quelle che arrivavano al treno con il baule e lo caricavano direttamente dal finestrino dello scompartimento, quelle che lui stesso tante volte ha salutato col fazzoletto bianco mentre si perdevano in mezzo ai fumi del treno in partenza.
Per noi magari un film in bianco e nero, per lui realtà a colori con rumori, piccioni e odori. Tutto reale.
Ora che ci sono rimasti, di quei tempi, i film in bianco e nero, ora che quelle persone non le ha più, penso che lui le saluti comunque.

Saluta forse i treni che non fumano più mentre le persone fumano ancora.

Saluta di certo chi come me si ferma, o semplicemente gli restituisce il saluto.

A presto,
Polo


Chiunque mi voglia dare degli spunti può scrivere a storiesenzafretta@gmail.com

Ci tengo a precisare che le citate scene del baule caricato dal finestrino si ripetono ancora nel 2013, semplicemente i bauli sono sostituiti da trolley di grandezze incomprensibili.

Un grazie al collega Carmine Trignano da cui involontariamente, tempo fa, è arrivato lo spunto per questo post.

Un ringraziamento a Lorenzo Bagnoli, autore della foto che fa da sfondo a questo Blog.

martedì 5 novembre 2013

Storie senza fretta - Cominciamo?

C'è un mondo che viaggia senza fretta, un mondo che popola, seppur in basso numero, quei treni di metà giornata che si potrebbero definire di nicchia.
Belli beati salgono su quei convogli lenti che fermano dappertutto, quelli che quando si aprono le porte, a volte, scendi nell'erba e nel silenzio, ti guardi intorno e quella è la stazione.
Viaggiano guardando fuori dal finestrino, ti porgono il biglietto con un sorriso e non badano a quanto ritardo porta il treno né quante fermate deve ancora fare.

E' il caso di Franco, pensionato delle ferrovie ultra ottantenne, che tutte le mattine prende il treno a Cuzzago e va a Domodossola.
"A fare cosa?" vi starete chiedendo. Beh, beve un caffè, saluta i suoi ex colleghi, fa un paio di commissioni, e dopo un'oretta torna a casa con lo stesso treno che, dopo la sosta, riparte alla volta di Milano. Certo, sempre tutte le fermate.
Chissà quanta gente prende il treno per fare delle commissioni, direte voi, ma perché questo signore merita di essere raccontato? Beh, perché si racconta lui stesso. Per lui prendere il treno non vuol dire stare a contare le fermate e guardare l'orologio. Aspetta sempre il treno in cima al marciapiede, quando sale saluta il macchinista e il capotreno e, da buon pensionato, ha sempre con se delle caramelle che non esita ad offrir loro. Questo tipo di contatto è qualcosa di impagabile, e no, non per le caramelle, ma perché a volte si ferma a parlare. Quindi io ascolto, sempre interessato, di come ad esempio vorrebbe vender casa a Cuzzago, ormai per lui troppo lontana da sua figlia che vive e lavora a Pescara.

Ogni volta che porto quel treno a Domodossola, mi aspetto di trovarlo a Cuzzago, ma penso che l'Italia sia piena di storie semplici come questa, altre sicuramente più interessanti, tutte pronte per essere raccontate.

Ed è proprio così che ho deciso di aprire questo blog: chiedendo a voi, soprattutto se lavorate in mezzo alla gente sui mezzi pubblici o ad uno sportello, di scrivermi le esperienze, gli incontri, le curiosità simpatiche in cui vi siete imbattuti.
Scrivetemi a storiesenzafretta@gmail.com, anche con foto, audio o videomessaggi. Avrò modo di farmi un'idea e di riproporle su questa pagina.

A presto!
Polo