Ambientato in Toscana fra gli anni '46 e '47, parla di un'Italia appena uscita dalla guerra.
Diciamo piuttosto che parla IN un'Italia appena uscita dalla guerra. Nei racconti infatti descrive quella che è la sua vita quotidiana del tempo, dove lo svago maggiore era probabilmente il cinema all'aperto.
Troviamo così appunti di passeggiate sul lungo mare viareggino, piuttosto che l'incontro con la mamma a La Spezia, casualmente anche lei di rientro da una gita domenicale.
Il treno affollato è forse la sola cosa ad essere rimasta invariata nel tempo.
Quello in cui mio nonno si aggira è un Paese che pian piano sta rinascendo, comincia a ricostruirsi.
A Rescello infatti, nell'entroterra di Massa, la casa di suo padre è stata bruciata dai Tedeschi.
Mio nonno così parte da Viareggio e va a Massa per parlare col geometra che ne curerà la ricostruzione. Non lo trova, ha fatto tutta quella strada, non poca per il tempo, ma il geometra non c'è quindi lascia detto al cugino.
Lo scrive con una normalità a cui oggi non siamo più abituati, ma al tempo era effettivamente all'ordine del giorno. Senza tutta la tecnologia che abbiamo oggi le cose dovevi farle, nel vero senso della parola, e in questo la gente era sicuramente migliore.
La mancanza di tecnologia portava le persone a comunicare a viva voce, faccia a faccia e se andava male si lasciava detto, dovevi bussare alla porta di qualcuno, o tirare il campanello. Sì, perché in alcune case tiravi un nottolino che, collegato ad una corda, faceva muovere un vero e proprio campanello.
Oggi telefoniamo, mandiamo le mail o chiediamo l'amicizia su Facebook. Prendiamo appuntamenti ben precisi, abbiamo orari scanditi e pretendiamo che il treno ci porti a destinazione nel minor tempo possibile.
A quel tempo proprio no. I miei nonni, per darvi un'idea di una gita di piacere, partirono da Viareggio col treno delle 5.22 del mattino e arrivarono a Livorno alle 8.
Anche una tratta semplice come Viareggio-Livorno, nell'immediato dopoguerra in cui mio nonno scrive, richiede ore di viaggio e tanta pazienza.
Se avevi fretta non eri di quel mondo, gli spostamenti erano tutti in bici, a piedi o con mezzi pubblici.
Quelli citati da mio nonno, oltre al treno, sono la corriera per Lucca e il "Cammio" che li portò in gita col CAI, probabilmente un camion militare recuperato dall'Esercito a guerra terminata.
Sono interessanti alcune espressioni di Italiano arcaico come "Passeggiamo un poco quindi andiamo a casa del maestro Gonnella Giovanni. Ivi desiniamo."
Queste ultime due parole, entrambe in disuso, rendono però alla perfezione l'idea. Mi ha colpito non tanto il verbo desinare quanto la parola "ivi": in maniera concisa riassume ciò che oggi diremmo con altri giri di parole sicuramente più lunghi.
Oppure "Mario riparte per Piastroso e porta seco mia sorella Luisa"
La particella seco non ha bisogno di molte considerazioni, parla da sola, con tutto il Latino che si porta sulle spalle.
Il Diario si chiude con uno scritto dal pugno di mia nonna, Nonna Meri, una donna serena con l'uomo giusto al suo fianco. Ammiro questa sua serenità e voglio chiudere con questo passo.
Sono lei e mio nonno in una casa affittata per pochi mesi, da soli. Si stanno ancora abituando a questa nuova dimensione di coppia, hanno infatti passato il primo anno di matrimonio "nell'affollata casa di famiglia" di mio nonno.
E' sera e fuori piove. "Si veglia chiacchierando o leggendo qualche libro o novella [...] Stare da me sola con mio marito era sempre stato il mio sogno quantunque non mi trovassi male neppure in famiglia a Viareggio. Purtroppo questa casa non è nostra e a Giugno dovremo ripartircene, ma che importa? Basta essere contenti e sempre ci troveremo bene. Fuori piove e noi si lascia piovere e si va a letto."
Buona giornata cari lettori!
A presto,
Polo
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